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Questo volume raccoglie otto interventi presentati al convegno sul mito di Fedra tenutosi a Firenze il 2-3 aprile 2003. In essenza sono interventi che assumono la forma del saggio filologico, tesi all’analisi comparata, a

Questo volume raccoglie otto interventi presentati al convegno sul mito di Fedra tenutosi a Firenze il 2-3 aprile 2003. In essenza sono interventi che assumono la forma del saggio filologico, tesi all’analisi comparata, a documentarsi con una dovizia di citazioni, di note, e di informazioni esegetiche, storiche, sociologiche. E spesso si avvalgono di un linguaggio critico laconico, scarno, incisivo; una cosa rara per tanti critici italiani che fanno del critichese la loro religione, che amano esprimersi con linguaggi astrusi, arzigogolanti, incomprensibili, cercando così di sottolineare una loro immagine di studiosi profondi, ma in fondo si è profondi quando si persegue l’ideale della semplicità e della chiarezza.I saggi sviluppano discorsi ermeneutici sottili sull’origine e sulla natura del mito di Fedra che già compare nell’Odissea di Omero e in tanti “frammenti”, ne correggono spiegazioni, lacune, sbagli, e avanzano fresche interpretazioni. Valutano attentamente gli ingredienti del mito, le ambientazioni, gli intrecci, le funzioni. E prendono in considerazione i sentimenti, la natura e la psicologia dei personaggi principali, Fedra, Ippolito, Teseo, e di quelli minori, e come queste le loro caratteristiche si presentano nelle tante versioni che se ne fanno dal mondo greco del V secolo a quello tardo rinascimentale.Nel teatro greco la storia d’amore di Fedra per il figliastro Ippolito viene portata sulla scena un paio di volte dai tragici. Il primo è Euripide (nella foto) con il suo primo “Ippolito” che crea accese polemiche, e poi ne farà una seconda nuova versione; il secondo è Sofocle con la sua “Fedra”. Ambedue i drammaturghi danno una interpretazione diversa del mito. Euripide pone l’enfasi soprattutto sullo sviluppo di un Ippolito saggio e freddo, e di una Fedra profondamente travolta dalle pene dell’amore. Sofocle fin dall’inizio presenta una Fedra regina di Atene vedova di Teseo (creduto morto nell’Ade) che dovrà trovarsi un nuovo marito che sarà re, innamorata del figliastro ma che sente vergogna di tale amore, e che chiede comprensione alle donne, onde si innestano concezioni dell’onore e della rispettabilità.Emilio Gelli sostiene che la Fedra di Sofocle è una figura scissa “tra libertà e dovere, tra l’amore per Ippolito e gli obblighi nei confronti del marito Teseo”, e incarna efficacemente il suo ideale di “personaggio tragico” sia nelle due versioni di Euripide  che in quella di Sofocle, anche per false accuse e per intrighi sinistri, tutto approda nella tragedia con la morte dei personaggi principali, causata anche dal suicidio.Il mito di Fedra ispira gli scrittori romani. Leopolodo Gambereale sostiene che la “Fedra” di Seneca “non è solo rielaborazione di tragedie greche, ma deve non poco alla meditazione di Ovidio”, specie all’uso che questi fa del linguaggio elegiaco teso ad enfatizzare la patina dello straniamento. Rita Degl’Innocenti Pierini attesta che la Fedra senecana attinge ampiamente anche al “romanzo greco di Achille Tazio”. Ma anche per questi due studiosi è il rifacimento drammaturgico di Seneca che si rivela originale quando insiste sulla preghiera della nutrice che presenta una Diana nella veste di “Luna” o che cerca di convincere Fedra a recedere dalle sue intenzioni incestuose; sui commenti e sui detti del coro; sui comportamenti erotici e sui monologhi della protagonista capaci di prendere pure le pieghe della pazzia; sulla tragica fine di Ippolito, condannato a una morte atroce dalla logica austera del padre Teseo; sul motivo dell’instabilità della sorte, ecc. Un altro scrittore romano che riscrive a suo modo il mito è Apuleio, con una novella in versi del decimo libro delle sue “Metamorfosi”. Una novella innovativa, secondo la studiosa Silvia Mattiacci, perché l’autore vi introduce l’immagine del medico, totalmente estranea alla tradizione della vicenda mitica. Il medico di Apuleio non è una figura retorica dell’insipienza, ma un professionista abile nel diagnosticare la divina malattia, cioè l’amore incestuoso che logora Fedra. E da qui la Mattiacci analizza le versioni che future generazioni di scrittori fanno dei medici in storie incestuose tra il giovane figliastro e la matrigna o tra la giovane figlia (come Mirra) e il padre.
Questi saggi studiano anche la presenta del mito di Fedra, e delle sue variazioni, nella rappresentazione delle arti figurative, in mosaici, in affreschi, in bassorilievi, in tombe, ecc. E come esso diviene il soggetto di melodrammi del Settecento, riuscendo ad ispirare librettisti quali Jean Philippe Rameau, Tommaso Traetta, Giovanni Pastello. Indubbiamente questo volume avrebbe ottenuto maggior completezza se avesse esaminato la Fedra degli scrittori moderni, da quella di Jean Baptise Racine a quella di Miguel De Unamuno, a quella di D’Annunzio.
Data recensione: 16/02/2008
Testata Giornalistica: America Oggi
Autore: Franco Zangrilli