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Al convegno su “Craxi e gli euromissili” che si terrà domani pomeriggio a Palazzo Giustiniani, sarà presente Lelio Lagorio che ricoprì un ruolo chiave nella vicenda della base missilistica di Comiso. Fu

Roma, 5 dic (Velino) - Al convegno su “Craxi e gli euromissili” che si terrà domani pomeriggio a Palazzo Giustiniani, sarà presente Lelio Lagorio che ricoprì un ruolo chiave nella vicenda della base missilistica di Comiso. Fu lui, infatti, a guidare il ministero della Difesa nel cruciale triennio 1980-1983. Al VELINO Lagorio ha ripercorso le tappe di quella fase storica. “Oggi tutti i commentatori politici concordano nel ritenere che l’installazione degli euromissili a Comiso rappresentò un salto di qualità per la nostra politica estera – dichiara -. Voglio aggiungere che in quel momento iniziò un new deal italiano che ebbe ripercussioni altrettanto importanti nella storia della politica interna del nostro paese”. Il ruolo chiave nella vicenda degli euromissili venne svolto dal Psi. “Perché il nostro Parlamento desse il proprio assenso al programma di riarmo missilistico della Nato – spiega Lagorio -, occorreva una maggioranza che non c’era. Il Pci era assolutamente contrario e quindi divenne decisivo il Psi che in quel momento, siamo alla fine del 1979, non faceva parte del governo guidato da Francesco Cossiga. Senza l’appoggio del Psi non ci sarebbe stata la maggioranza per approvare il programma della Nato. E se l’Italia non lo avesse approvato, il programma sarebbe caduto del tutto perché il cancelliere tedesco Helmut Scmhidt aveva detto che senza la partecipazione italiana anche la Germania si sarebbe tirata indietro”. All’interno del Psi la decisione di dare il via libera agli euromissili fu estremamente sofferta. “Nel novembre 1979 - ricorda Lagorio- tenemmo una direzione del partito molto tesa, che durò otto ore, nel corso della quale presero la parola tutti i big. L’incontro si aprì con la mia relazione, che avevo preparato con Stefano Silvestri dell’Istituto degli affari internazionali (Iai), alla quale si opposero la sinistra di Riccardo Lombardi e il centro di Francesco De Martino. Abile fu Bettino Craxi che alla mia relazione fece aggiungere quella che venne definita la ‘clausola dissolvente’: nel caso i sovietici avessero fermato o cancellato il loro rafforzamento missilistico, l’Italia si sarebbe tirata fuori dal programma di riarmo della Nato. Nonostante questa clausola, alcuni socialisti non si presentarono in Parlamento il giorno della votazione e altri come De Martino dissero di votare solo per disciplina di partito. Nel giro di poche settimane, inoltre, ci fu un tentativo della sinistra e del centro per rovesciare la segretaria Craxi ma la manovra non riuscì perché la sinistra perdette il sostegno di Gianni De Michelis”. L’accettazione da parte del Psi degli euromissili modificò completamente il quadro della politica interna. Nell’aprile 1980, i socialisti entrarono nel secondo governo Cossiga e Lagorio assunse la carica di ministro della Difesa che avrebbe tenuto fino all’agosto 1983 anche nei successivi governi Forlani, Spadolini e Fanfani. “La scelta degli euromissili - spiega Lagorio - seppellì definitivamente la possibilità del compromesso storico e aprì un nuovo scenario politico. La Dc, infatti, preso atto del fallimento di accordarsi con il Pci, rilanciò un’offerta di alleanza al Psi che in quel momento era fuori dal governo. Come socialisti prendemmo al balzo questa opportunità e così nell’aprile 1980 nacque la nuova esperienza di centrosinistra che, a differenza di quello Moro-Nenni, aveva una qualità in più: il Psi non accettava di fare da supporto alla Dc ma mirava alla leadership, che infatti sarebbe arrivata tre anni dopo con Craxi a Palazzo Chigi”. L’opposizione al riarmo missilistico della Nato mise in seria difficoltà il Pci. “Solo pochi anni prima - ricorda Lagorio - Enrico Berlinguer aveva compiuto lo sforzo di ridurre i legami con l’Urss a tal punto che aveva dichiarato di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello protettivo della Nato. Quando però si pose la questione degli euromissili, il Pci smentì tutto quanto e, quasi sentendo una sorta di richiamo della foresta, si pose dalla parte dell’Unione Sovietica. Credo che Berlinguer abbia sofferto per quella decisione a cui si accodò anche l’ala migliorista guidata da Giorgio Napolitano. Con quella scelta i comunisti tornarono indietro di parecchi anni e ancora più indietro sarebbero tornati promuovendo pochi anni dopo il referendum sulla scala mobile”. L’allora capo del governo Cossiga faticò a convincere la Dc sulla scelta missilistica? “No – risponde Lagorio -. Cossiga fu il demiurgo di quella scelta perché dopo aver parlato con Schmidt si mise subito al lavoro per cercare la maggioranza in Parlamento che desse il via libera al programma della Nato. Dopo aver dato per scontato l’appoggio del proprio partito e quello di Pri, Psdi e Pli, Cossiga sondò gli altri partiti. Cominciò il suo giro dal Pci, con il quale pensava di portare avanti quella collaborazione inaugurata dai governi Andreotti di solidarietà nazionale anche in virtù dei buoni rapporti che aveva con Ugo Pecchioli. Ma suo cugino Enrico Berlinguer disse che il Pci non accettava gli euromissili. Cossiga venne allora da noi socialisti, che pure ci trovavamo fuori dal governo, e lo avvertimmo che per il Psi sarebbe stata una scelta difficile la quale però non ci avrebbe spaventato. Cossiga fu molto contento e infatti nell’aprile 1980 mandò a casa il proprio governo fatto da Dc, Psdi e Pli e compose un tripartito Dc-Psi-Pri che fu definito il governo più a sinistra nella storia della prima repubblica”. Lagorio, come ministro della Difesa, si occupò in prima persona della scelta di Comiso come base missilistica. “Fu una decisione - spiega - presa durante il secondo governo Cossiga che riuscimmo a tenere segreta per un anno e mezzo per renderla pubblica nel momento meno sconvolgente possibile per l’equilibrio politico italiano. Aspettammo l’assestamento del governo, osservammo come si sviluppava l’opposizione di massa e infine facemmo passare le elezioni regionali siciliane. Il momento adatto arrivò ai primi di agosto del 1981, pochi giorni dopo l’arrivo a Palazzo Chigi di Giovanni Spadolini il quale, vista la segretezza sul tema, ne era completamente all’oscuro. Durante il Consiglio dei ministri del 7 agosto comunicai ai colleghi la scelta di Comiso che venne approvata. Di quella giornata ricordo due episodi: il Tg 1 della sera che aprì con questa notizia corredata da una clamorosa gaffe: fu detto che Comiso si trovava in Sardegna e infatti il servizio andò in onda con una serie di immagini di nuraghi e campagne con le pecore; il commento della sinistra che ci disse che eravamo stati dissacranti perché avevamo scelto come data l’anniversario del bombardamento di Hiroshima”. Ci fu mai un ripensamento della scelta missilistica? “Assolutamente no – risponde Lagorio -. L’unico che aveva qualche dubbio era proprio Bettino Craxi al quale non piaceva essere alla testa di una coalizione di riarmo. Era un uomo del centrosinistra avanzato ma non era un anticomunista. La sua tesi era: io non sono contro il Pci, voglio solamente che il Pci non comandi. Tra il riarmo e l’offerta di negoziato con l’Urss, Craxi avrebbe preferito sempre la seconda strada. Questa politica creò qualche malumore all’interno dell’amministrazione americana. Ricordo che nel 1983, appena Craxi divenne presidente del Consiglio, il leader sovietico Yuri Andropov fece un’offensiva su di lui pensando che fosse l’anello debole della catena. Ma Craxi rispose in maniera ferma che non avrebbe accettato una superiorità militare sovietica in Europa: toglieremo i missili, dichiarò, solo quando li toglierete anche voi”. Negli anni in cui si svolgeva il dibattito sugli euromissili, in Italia qualcuno avanzò l’ipotesi di dotare il nostro paese di un proprio armamento nucleare. Lagorio, su questa vicenda, ha pubblicato due anni fa il libro “L’ora di Austerlitz. 1980: la svolta che mutò l’Italia” (Polistampa). “Gli euromissili dettero all’Italia uno status internazionale mai avuto in precedenza – spiega l’ex ministro della Difesa -: diventammo uno stato in prima linea nello scontro Est-Ovest con una responsabilità geostrategica di assoluto rilievo. Questo situazione ci portò in un’altra dimensione e infatti da lì a poco mandammo truppe nel Mar Rosso e in Libano indipendentemente dall’Onu. In questo quadro, visto che l’Italia non aveva risorse sufficienti per dotarsi di forze militari di primo livello, il capo di Stato maggiore della Difesa ammiraglio Giovanni Torrisi suggerì di dotare il paese di armi nucleari perchè costavano poco e potevano funzionare da deterrente. Dissi che la questione poteva essere analizzata, ma nel contempo sottolineai che qualsiasi decisione non sarebbe spettata agli ambiti militari perché di competenza del mondo politico. Non portai mai questa proposta al Consiglio dei ministri sia perché di missili nucleari ce ne erano già troppi in giro, sia perché l’Europa aveva già rifiutato la bomba ai neutroni posseduta dagli Stati Uniti e sia perché avevamo firmato il trattato di non proliferazione. Più tardi anche il mio sottosegretario Bartolo Ciccardini e Silvestri della Iai si palesarono a favore dell’opzione nucleare, ma nuovamente esposi la mia contrarietà e la cosa terminò lì”.
Data recensione: 05/12/2006
Testata Giornalistica: Il Velino
Autore: ––