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Per quale motivo Giovanni Luteri, detto Dosso Dossi, dipinge, verso il 1524, un quadro apparentemente misterioso, nel quale il dio Mercurio, riconoscibile dai suoi attributi (copricapo alato, ali ai piedi,

Per quale motivo Giovanni Luteri, detto Dosso Dossi, dipinge, verso il 1524, un quadro apparentemente misterioso, nel quale il dio Mercurio, riconoscibile dai suoi attributi (copricapo alato, ali ai piedi, caduceo), appare seduto tra una figura femminile ed una maschile? Questa potrebbe essere la domanda motore dell’appassionante indagine, condotta da Vincenzo Farinella in Dipingere farfalle, agile libro, edito da Polistampa, che si legge tutto d’un fiato perché si è tanto desiderosi di conoscere la risposta, quanto di scoprire l’assassino in un romanzo giallo. Ma già il sottotitolo - Giove, Mercurio e la Virtù di Dosso Dossi: un elogio dell’otium e della pittura per Alfonso I d’Este - fornisce indizi per comprendere chi siano i personaggi rappresentati ed il committente del dipinto. Così il lettore è ricondotto nel ducato estense, al tempo in cui si stava costruendo in megio Po - come scrive Biagio Rossetti nel 1513 al cardinale Ippolito, fratello del duca - una delizia sull’isola di Boschetto, di fronte a Castel Tedaldo. Tale locus amoenus verrà chiamato Belvedere - pulcher visu, in latino; calliopsis alla greca - forse non solo per la magnifica vista della città di Ferrara che vi si poteva scorgere, ma anche perché le bellezze naturali erano enfatizzate dai tesori d’arte commissionati per abbellire quella sorta di Paradiso terrestre, con tanto di animali, creato per lo svago del principe. Infatti questo era il luogo dove egli si ritirava quando voleva ritemprarsi l’animo senza essere disturbato - attestano vari documenti d’epoca -, perciò doveva contenere opere prestigiose, ricche di significati cher visu, in latino; calliopsis alla greca - forse non solo per la magnifica vista della città di Ferrara che vi si poteva scorgere, ma anche perché le bellezze naturali erano enfatizzate dai tesori d’arte commissionati per abbellire quella sorta di Paradiso terrestre, con tanto di animali, creato per lo svago del principe. Infatti questo era il luogo dove egli si ritirava quando voleva ritemprarsi l’animo senza essere disturbato - attestano vari documenti d’epoca -, perciò doveva contenere opere prestigiose, ricche di significati sola di Belvedere, era formata da una granata svampante sormontata da una leggiadra farfalla, a simboleggiare le sue doti di abile stratega e di illuminato mecenate. Così il principe viene immortalato dal Dosso, pittore di corte, nelle vesti di artefice divino, celebrando in tal modo le arti manuali - quella del fondere metalli, del modellare ceramiche, del dipingere - tanto amate da questo duca-artigiano. E se le farfalle sono anime, quanto vicino al supremo processo creativo dev’essere, per un pittore, infondere l’anima a ciò che ritrae! Ma Mercurio e la Fortuna, che c’entrano? Osserverà il lettore. C’entrano, c’entrano… Anche se la storia di partenza è un po’ diversa, come è dato comprendere da una xilografia veneziana del 1525. Infine spunta perfino una versione seicentesca del quadro di Dosso, a rendere giustizia al contenuto morale della fonte letteraria che ha fornito spunto ai pittori, invitando a non scambiare anime per farfalle. Eppure esse, con le loro ali delicate, sono capaci di raggiungere il cielo e di staccarsi dalla tela, quando l’inventio dell’artista pare uscita… dalle mani di un dio.
Data recensione: 01/01/2008
Testata Giornalistica: Pittura Antica
Autore: Maria Cristina Villa