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Chiedo scusa a Hemingway per aver copiato – più o meno – il titolo di un suo celebre romanzo, e ringrazio Pier Capponi, spesso ricordato nei cruciverba («il più famoso dei Capponi», quattro caselle, otto orizzontale) per aver

Nella campane la storia di eroi, santi e popolo. Curiosità raccolte da Giorgio Batini: in Palazzo Vecchio la più faticosa, servivano 20 uomini per suonarlaChiedo scusa a Hemingway per aver copiato – più o meno – il titolo di un suo celebre romanzo, e ringrazio Pier Capponi, spesso ricordato nei cruciverba («il più famoso dei Capponi», quattro caselle, otto orizzontale) per aver risposto al tracotante Carlo VIII che se lui si fosse azzardato a suonare le sue trombe, i fiorentini avrebbero suonato le loro campane. Di questo «Pier», la gente ignora molte cose (che fu ambasciatore, banchiere, commissario di guerra, che riconquistò Pisa, che morì per un colpo di testa all’assedio di Soiana), ma non ha dimenticato quelle sue fiere parole. Io lo ringrazio perché, essendomi chiesto più volte quali campane avrebbero suonato i fiorentini nel ‘400, proprio mentre cercavo una risposta, è scoccata la scintilla della curiosità sui bronzi in genere, e siccome una campana tira l’altra, ho finito per scrivere un libro su quelle più celebri, o curiose, della Toscana. In oltre sessanta anni di giramondo, giararegione e «lettera 22», ho scritto qualche migliaio di articoli, ma ora preferisco scrivere libri, offrono più spazio per raccontare le cose. Da anni vado a caccia di curiosità e questo è accaduto anche per le campane, anche se alcune storie sono più o meno conosciute. Conosciuta, ad esempio, è la vicenda della «Piagnona » (la campana che suonò nel tentativo inutile di difendere il Savonarola), la quale fu bastonata, insultata e sputacchiata per le strade di Firenze, inviata in esilio per decreto della Signoria (a firma di Tanay de’ Nerli) e confinata a San Salvatore al Monte, dove un curioso destino fece sì che suonasse – la prima volta – per la morte di Tanay de’ Nerli, il suo nemico, il più arrabbiato degli «Arrabbiati». Meno noto il fatto che i monaci benedettini della Badia Fiorentina suonarono a martello contro le tasse eccessive e messe dal comune, anziché suonare come al solito le ore canoniche: «traeva e terza e nona», dice Dante, e il comune, per tutta risposta, ordinò che fosse tagliato fino alla metà il campanile della Badia, poi ricostruito (come lo vediamo ora) nel 1330. E per cinque anni (dal 1148 al 1153) i bronzi fiorentini restarono muti, per decreto del pontefice Eugenio III, perché la Repubblica aveva osato attaccare il castello di Guido Guerra mentre il conte era alla crociata voluta proprio da Papa. Così, i sacerdoti celebrarono la Messa per cinque anni nelle chiese deserte. Quando Firenze dichiarava la guerra, ecco che suonava la «Martinella», che fu catturata dai senesi quando i fiorentini nel 1260 colorarono di rosso le acque dell’Arbia, e mai più restituita, mentre allorché un condannato a morte si avviava verso il patibolo («il paretaio del Nemi» dicevano i fiorentini) dalla torre Volognana del Bargello rimbombavano i rintocchi della «Montanina» (predata nel castello di Montale nel 1303), che fu più volte restaurata, che tacque a lungo nell’800 e nel ‘900 per poi suonare l’11 agosto del 1944 per la liberazione di Firenze, e il 31 dicembre del 2000 per salutare il nuovo millennio. La campana del «popolo» di Palazzo Vecchio, forse la più grossa della Toscana (16.000 libbre) e la più faticosa (ci volevano dodici campanari per tirarne le funi), fece gola al bastardo Alessandro de’Medici, detto il Moro, che ordinò di fonderla per coniare monete e pagare i lanzichenecchi che sostenevano la sua tirannia. Di curiosità abbiamo cercato di elencare le «campane dei miracoli», cioè quelle che suonavano senza campanari, alla morte di qualche sant’uomo o santa donna, come avvenne nell’898 alla scomparsa del beato ciabattino Sorore, fondatore dello Ospedale di Siena, a Castelfiorentino alla morte di Verdiana, murata per 34 anni in una cella insieme alle serpi citate dal Boccacio, nel 1253 quando a San Gimignano salì al centro Santa Fina, nel 1262 a Poppi per la fine del Beato Torello, nel 1320 a Montaione quando un cacciatore trovò morto, in ginocchio in atto di preghiera nella cavità di un castagno, San Vivaldo che aveva fatto l’eremita nella selva di Camporena . Hanno ancora suonato per la morte a Certaldo di Giulia della Rena, per la morte a San Gimignano del Beato Giovanni Benincasa e per altri uomini e alter donne oggi venerati sugli altari. In molti paesi si tramanda che le campane suonarono senza campanari, ma in realtà un campanaro c’è: sta in alto, vede tutto, e suona quando lo crede opportuno. Scrittori e musicisti si sono interessati ai bronzi della Toscana. Puccini prese ispirazione dal concerto delle campane di Bargecchia per lo scampanio del primo atto della «Tosca», per il suono di una campana si commosse anche Carducci, il toscanaccio di Val di Castello, di Castagneto e di Bolgheri. Né potevano essere estranei all’ironia toscana quei bronzi che ispirarono a Neri Tanfucio una decina di versi di commossa poesia, scritti in punta di lacrima, poi conclusa da una dissacrante, inaspettata battuta «Però non so capì, Dio mi perdoni – come diavolo mai facciamo i preti – a trovar ‘r coglion che gliele soni!» . Oggi i campanari sono stati sostituiti da congegni elettrici, ma i bronzi hanno mantenuto il loro secolare linguaggio: suonano a distesa, a martello, a stormo, a fuoco, a scongiuro, a tempesta, a malacqua, a vituperio. Naturalmente mi auguro che per la terra toscana, per Firenze, e per il mio vecchio giornale, suonino sempre «a festa».
Data recensione: 04/11/2007
Testata Giornalistica: QN
Autore: Giorgio Batini