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Ci sono artisti, anche tra i grandi, che hanno la sfortuna di nascere e rimanere “minori”. In campo musicale, a Ruggero Leoncavallo sembra essere toccato questo destino, forse anche per il fatto di arrivare spesso secondo: anche l’opera

Un libro ricostruisce l’itinerario artistico del maestro e il suo rapporto con Montecatini Terme Ci sono artisti, anche tra i grandi, che hanno la sfortuna di nascere e rimanere “minori”. In campo musicale, a Ruggero Leoncavallo sembra essere toccato questo destino, forse anche per il fatto di arrivare spesso secondo: anche l’opera considerato il suo capolavoro, Pagliacci, (1892) seguì di due anni la trionfale Cavalleria di Mascagni. Il caso tuttavia più emblematico è quello di Bohème; tra Leoncavallo e Puccini fu ingaggiato un vero e proprio “duello”, ma alla prova dei fatti l’opera del musicista lucchese precedette quella del collega napoletano non solo nel tempo (1986 Puccini, l’anno successivo Leoncavallo) ma anche nel favore del pubblico sin dagli esordi, e in seguito anche dalla critica. Sull’autore dei Pagliacci sembra essere calata una cortina di silenzio e di diffidenza ancor più pesante di quella che ha colpito altri esponenti della, cosiddetta “giovane scuola verista”; se per Mascagni e Giordano vi sono stati e vi sono doverosi tentativi di rivalutazione e di riproposta di opere ingiustamente dimenticate, diverso è il caso di Leoncavallo, inchiodato sembra senza scampo ad una sola opera e a qualche altro sparuto pezzo musicale, come la celebre romanza Mattinata. La casa editrice Polistampa propone, in occasione del 150º anniversario dalla nascita del musicista, il volume di Mario Lubrani e Giuseppe Tavanti, Ruggero Leoncavallo, i successi, i sogni, le delusioni, corredato da un buon apparato iconografico e da un’interessante cd con musiche originali per pianoforte eseguite da Tavanti. «(Leoncavallo) è stato vittima di profonda incomprensione e persino, ingratitudine in vita, di indifferenza e disattenzione da parte di storici e musicologi dopo la sua scomparsa», dichiarano gli autori. Senza ignorare o sorvolare sulle “zone di ombra” e sui limiti del compositore, l’opera si propone dunque di rendere giustizia all’artista, ma anche all’uomo, tratteggiandone la figura sanguigna ma anche simpatica e bonaria, fatta spesso bersaglio di lazzi e motteggi anche “perfidi” da parte di colleghi e rivali (a parte il celebre epigramma mascagnano, basti ricordare che Puccini lo definiva il bisbestia). Di grande interesse è, a questo proposito, la parte del volume che ricostruisce il soggiorno del maestro a Montecatini Terme, dove visse a lungo fino alla scomparsa nel 1919 e dove compose alcuni dei suoi lavori, ma soprattutto dove fu un instancabile e indimenticabile animatore della vita sociale e culturale, oltre che fenomenale commensale e giocatore di scopone: «Voi che non possedete un orologio, avete un mezzo semplicissimo per sapere che ore sono. Entrate nel salone della Pace e domandate: c’è il maestro Leoncavallo e cosa fa? Se rispondono che gioca a scopone significa che sono le 15 o poco più», riportava un periodico dell’epoca. Certo si tratta di un testo a carattere “divulgativo” per cui alcune questioni che invece interessano il lettore non necessariamente specialista, ma solo appassionato di musica, non vengono sempre approfondite come si vorrebbe; se ad esempio è ricostruito abbastanza bene il mitico scontro su Bohème, che coinvolse non solo gli autori ma anche e soprattutto gli editori, non sono messe abbastanza in rilievo le ragioni reali della prevalenza del capolavoro pucciniano; così come si vorrebbe una ricostruzione più puntuale e approfondita dell’itinerario operistico del maestro napoletano, e delle ragioni di certe sue scelte. Nel complesso comunque l’artista ed il personaggio emergono, anche se certi dubbi e interrogativi restano. 
Data recensione: 21/08/2007
Testata Giornalistica: Il Giornale della Toscana
Autore: Domenico del Nero