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Chi era giovane alla fine degli anni Settanta lo conosce come il creatore della romanza Mullinata (ovvero L’Aurora di bianco vestita), all’epoca cantata fragorosamente da Al Bano. Chi è giovane oggi, sa che a lui è

Chi era giovane alla fine degli anni Settanta lo conosce come il creatore della romanza Mullinata (ovvero L’Aurora di bianco vestita), all’epoca cantata fragorosamente da Al Bano. Chi è giovane oggi, sa che a lui è intitolato uno storico scontro sociale di Milano, spesso citato nelle cronache. Chi, invece, era giovane un po’ di tempo fa, ricorda che è il padre di Pagliacci, un melodramma verista, denso e drammaticissimo, andato in scena nel 1892. Come Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni (rappresentato due anni prima), anche Pagliacci è ambientato nel Meridione italiano, in un paesino calabrese dove la compagnia di attori guidata dal capocomico Canio e dalla moglie Nedda è impegnata in uno spettacolo con le antiche maschere della commedia dell’arte. Ma Nedda è innamorata di un altro uomo: nel corso della recita, il marito geloso, travestito da pagliaccio, colpisce a morte la donna e il suo giovane amante, davanti ad un pubblico che, fin all’ultimo, non si accorge del superamento del confine tra finzione scenica e realtà.
Progettata come Cavalleria Rusticana in un solo atto, Pagliacci debutta a Milano sotto la direzione di Arturo Toscanini; e, come Cavalleria, ottiene un successo immediato e mondiale. La sua aria più nota, “Vesti la giubba”, viene registrata da Enrico Caruso e diventa il primo disco che tocca il milione di copie di vendita. Potrebbe essere un ottimo punto di partenza, ma così non è: a Ruggero Leoncavallo come a Mascagni, Cilea e Giordano – spetta invece l’ingrato destino di essere considerato l’autore di un capolavoro irripetibile. Solo recentemente si è avviata una sua riconsiderazione critica, confermata dalla pubblicazione di Vita di Ruggero Leoncavallo, di Mauro Lubrani e Giuseppe Tavanti (Edizioni Polistampa, Firenze), u volume che vede la luce in occasione del centocinquantenario della nascita del compositore ed è unico nel suo genere: l’ultimo studio sistematico su Leoncavallo, infatti, risale al 1985 ed è da tempo introvabile.
Dal puntuale lavoro di Lubrani e Tavanti emerge il profilo della parabola artistica di Leoncavallo che, già nell’anno successivo all’esordio di Pagliacci, si accinge a musicare La vie de Bohéme di Henry Murger, iniziativa prontamente raccolta dall’amico Puccini con il sostegno dell’editore Ricordi. Lo scandalo della primogenitura dell’idea scoppia pubblicamente nei salotti, negli ambienti teatrali e sui giornali, che si schierano apertamente: il Corriere della Sera con Puccini e il Secolo con Leoncavallo. Puccini escogita per il vecchio amico dei soprannomi sprezzanti, divenuti poi molto famosi: Leonbestia, Bisbestia, Leonasino, Mascagni, malgrado gli interessi che lo legano a Leoncavallo nel lucroso accoppiamento Pagliacci-Cavalleria Rusticana, scrive: «Bestia il primiero (Leon); Bestia il secondo (Cavallo); Bestia l’intero (Leoncavallo)». La Boheme di Leoncavallo viene portata sul palcosecnico della Fenice di Venezia nel 1897 è, pur ottenendo un discreto successo, è rapidamente offuscata dal trionfo internazionale dell’omonima opera che Puccini ha concepito un anno prima o, nel giro di pochissimo tempo, esce dal repertorio.
Il volume di Lubrani e Tavanti tratteggia la figura sanguigna, ma anche simpatica e bonaria, di Leoncavallo, ricostruendo tutta la sua vicenda dagli anni della formazione a Napoli al trionfo dei Pagliacci, dagli anni svizzeri a quelli della guerra. Una particolare attenzione è dedicata a Montecatini Terme, tappa fondamentale della sua carriera, dove Leoncavallo trascorse gli ultimi amari anni di vita. Nel libro non mancano, tuttavia, le citazioni di alcune celebri gag del musicista. Come l’invenzione di una pantomima imperniata su un immaginario sciopero da parte delle acque termali. O quella costruita su un’inesistente agenzia teatrale in cui venivano fatte audizioni in vista di un’esibizione al Teatro Lirico di Buggiano (che non esiste). O, ancora, l’inseguimento con pistola in pugno di un ciclista che aveva investito il suo cane: quasi la metafora di una vita in rincorsa, consumata a braccare con successo che altri avevano afferrato con maggior tempismo, tra mille programmi, quasi mai realizzati e, forse, troppi sogni.
Data recensione: 02/02/2008
Testata Giornalistica: L’Unione Sarda
Autore: Myriam Quaquero