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Ancorché faccia ricordare momenti d’infanzia spensierata, Ratafià e Ghirighio, non è una conta, ma un libro con una sua precisa collocazione geografica, ergo Prato, che

Si diceva “facciamo la conta?” (o il tocco, a seconda delle regioni) e poi si cantilenava qualcosa come: “Ambaraba-ci-ci-cocò, o “Ponte-porotonte-ponte-pì”, o altro Ancorché faccia ricordare momenti d’infanzia spensierata, Ratafià e Ghirighio, non è una conta, ma un libro con una sua precisa collocazione geografica, ergo Prato, che lodevolmente le Edizioni Polistampa ha ripubblicato oggi, dopo 25 anni dalla sua prima andata in stampa. Gli autori di questo Zibaldone culinario pratese, come recita il sottotitolo, sono Umberto Mannucci e Pietro Vestri che, nella nuova edizione, fanno un po’ il punto della situazione per vedere come la cucina e la città siano cambiate, ovvero come si conservino le tradizioni gastronomiche, dato che Prato è diventata una società multietnica per immigrazioni provenienti dal meridione d’Italia prima, dai paesi extra-comunitari poi. Ci sta divorando la curiosità di sapere che nesso abbia il titolo Ratafià e Ghirighio con un libro di cucina (che è poi ben più che tale, dato che include letteratura, storia e tradizioni). Nevvero? Un passo, anzi un salto indietro nel tempo, dato che i due termini sono scomparsi sia dalla bocca sia dalla tavola dei pratesi. Il ‘ratafià’, era la bevanda delle dame e dei cavalieri nel Settecento, modestamente alcolico e molto fruttato e il ‘ghirighìo’, oscura parola che poteva richiamare alla mente formule magiche di maghi e apprendisti stregoni, altro non era se non il vecchio meraviglioso sapido indimenticabile castagnaccio. Ce lo spiega Umberto Cecchi nella prefazione. E così, con questi due termini, risaliamo ai tempi in cui Piazza del Pesce era chiamata delle Beccherie e vi si effettuava la vendita del pesce (ma non di mare), mentre la Piazza del Comune era detta del Grano perché ivi c’era il mercato del frumento, dei cereali e delle biade. Quando le contadine preparavano amorevolmente il pane per la famiglia in quantità tale da durare parecchi giorni; quando al Mercatino le donne si accalcavano intorno alle cassette di frutta e verdura, e a fine mattinata, ciò che restava nelle ceste, cioè i cosiddetti capirotti, si vendevano a prezzi stracciati; quando la polenta niccia non era stata ancora ingiustamente dimenticata. Quando si attendeva la smigliacciata, ovvero il pranzo più abbondante dell’anno, che era a base di maiale e si consumava tra amichevoli conversazioni ed abbondanti bicchieri di buon vino rosso locale.
Data recensione: 26/06/2007
Testata Giornalistica: Guide Dada.net
Autore: Loredana Limone