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KURSAAL, Teatro Eden, Rex, Impero, Augustus, Cinque Maggio: sfilano i nomi che sono come i baci tagliati di «Nuovo cinema Paradiso» nel secondo numero di «Opus incertum», la rivista

La rivista «Opus Incertum» e un’edilizia particolare KURSAAL, Teatro Eden, Rex, Impero, Augustus, Cinque Maggio: sfilano i nomi che sono come i baci tagliati di «Nuovo cinema Paradiso» nel secondo numero di «Opus incertum», la rivista del Dipartimento di Storia dell’architettura e della città dell’Università di Firenze, dedicato all’architettura italiana del cinema. Una storia che scorre parallela a quella dell’imporsi in Italia della nuova arte, condividendone l’avvio stentato, la difficoltà iniziale a conquistare una propria autonomia rispetto al teatro, e poi l’esplosione creativa e la scoperta delle potenzialità propagandistiche del mezzo.
Firenze e la Toscana hanno un ruolo di primo piano in questa ricognizione delle sale storiche italiane che tocca anche Milano, Roma, Napoli e Palermo, a cominciare dal Kursaal Teatro Eden di Pistoia, il gioiello liberty inaugurato da Antonio Lavarini nel 1912 e in cui Mauro Cozzi individua il momento inaugurale dell’elaborazione di una pratica progettuale indirizzata specificatamente allo spettacolo cinematografico. Gianluca Belli ricostruisce invece la nascita dei tre cinema fiorentini firmati da Nello Baroni tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta: il Rex, oggi Apollo, lo Stadio, scomparso da tempo, e il Capitol, rimpiazzato di recente da un centro commerciale e da alcuni appartamenti. Un destino analogo a quello dell’Odeon di Livorno, realizzato nel 1952 da Virgilio Marchi e destinato a diventare tra breve un parcheggio coperto, e a cui dedica un saggio Milva Giacomelli. Il cinema è fragile, e anche i cinema lo sono.
Fragili, ma anche inestimabili nel rispecchiare a distanza di decenni le strategie con cui il potere costruisce il consenso e organizza l’assetto sociale, come dimostra Enzo Godoli nel saggio che chiude il volume, e nel quale è ricostruito, attraverso l’architettura delle sale cinematografiche delle colonie italiane, il regime di apartheid instaurato in epoca fascista nell’Africa orientale, «in omaggio all’igiene e al prestigio del cittadino italiano metropolitano di razza ariana». Dopo la proclamazione dell’Impero, infatti, il modello dei cinema misti entra in crisi e la netta separazione tra i due pubblici, quello degli indigeni e quello dei colonizzatori, diventa un argomento a sostegno dei provvedimenti di segregazione razziale varati da Roma. Il cinema non è innocente, e neanche i cinema lo sono.
Data recensione: 01/04/2007
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Beatrice Manetti