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Polistampa pubblica i risultati di un imponente censimento di cartiglie antiche scritte condotto dagli Amici dei Musei
Dieci anni per censirle e scoprire che sono in pessimo stato
Le lapidi sono come biglietti infilati tra le pagine del grande libro di una città. Per ricordare una nascita o una morte, il giorno di una visita importante, un appuntamento con la storia, i versi di uno scrittore amato. Per ricordare, comunque. Il tempo li sgualcisce, ne rende indecifrabili i caratteri, però loro resistono, e ogni tanto si affacciano da dietro un angolo, occhieggiano tra un cassonetto e una fermata d’autobus, bisbigliano le loro frasi scarne in mezzo al traffico. Sono un libro a propria volta, quei biglietti, e adesso lo sono davvero: due volumi eleganti in carta patinata, intitolati Il rimembrar delle passate cose. Memorie epigrafiche fiorentine e curati per le edizioni Polistampa da Lia Invernizzi, Roberto Lunardi e Oretta Sabbatini, che hanno raccolto e organizzato in maniera sistematica oltre cinquecento schede delle epigrafi delle strade e delle piazze fiorentine.
Dalla ricerca, durata dieci anni e voluta dagli Amici dei Musei Fiorentini, è uscito il «primo lavoro sistematico dopo quello ottocentesco di Francesco Bigazzi» spiega Lunardi. Il nostro scopo era la raccolta, la trascrizione e la traduzione sistematica di tutte le lapidi ancora visibili all’interno della terza cerchia delle mura medievali: un lavoro umile, faticoso e oscuro, che speriamo possa servire come base di partenza per studi più approfonditi, anche e soprattutto grazie agli indici, da cui si può risalire ai nomi dei destinatari e individuare la diversa tipologia delle lapidi. Il nostro compito è stato semplicemente e intenzionalmente di servizio. Mettiamola così: siccome la gente non si muove più, la città gliela portiamo noi e gliela mettiamo sul tavolino».
Sfogliare Il rimembrar delle passate cose, in effetti, è come fare una lunga passeggiata per Firenze con il naso all’insù. Si incrociano i passi di Fedor Dostoevskij, intento a finire L’Idiota in un appartamento di piazza Pitti, in via Gino Capponi le tracce del «pittore senza errori Andrea d’Agnolo fiorentino detto Del Sarto», ma anche le ingiunzioni tra lo spazientito e il truce degli Otto della Balia, gli antichi magistrati fiorentini costretti a ricordare a una popolazione refrattaria al senso civico come «non si pisci né farci alcuna sorte di sporcitie» davanti alla basilica di San Lorenzo o come non fosse il caso di indulgere al «gioco delle pallottole» in piazza Santo Spirito, «sotto pena di scudi dieci a chi contrafara el bando». Senza contare le lapidi dantesche che da sole fanno un libro nel libro e saldano indissolubilmente la «Commedia» alla topografia e alla storia di Firenze.
Strada per strada, dalla A di lungarno Acciaioli alla Z di via Zanetti, di ogni lapide è riprodotto il testo originale, con la traduzione italiana per quelle scritte in latino, e fornita una breve descrizione del materiale, della posizione e dello stato di conservazione.«Per ricostruire la storia di ciascuna e dare informazioni biografiche sul destinatario della lapide ci sarebbero voluti altri dieci anni. Ma almeno sono usciti dall’oblio molti nomi, ad esempio quelli dei caduti in guerra, che non erano mai stati trascritti, e sono emerse con chiarezza le tre fasi di maggiore attività epigrafica nella storia di Firenze: l’età repubblicana, che celebrava soprattutto eventi straordinari, come le visite di papi e imperatori, quelle del granducato, quando le lapidi ricordavano l’arrivo in città dei sovrani europei, e quella di Firenze capitale, dedita alla costruzione della memoria risorgimentale e alla costruzione del proprio ruolo di centro culturale».
Sparse come sassolini su un percorso dove hanno camminato San Francesco e Collodi, Cosimo I e Savonarola, Masaccio e Alfieri, «nella maggior parte dei casi le lapidi sono in pessimo stato di conservazione - prosegue Lunardi - e avrebbero tutte bisogno di manutenzione e restauri. Altrimenti che senso hanno? Le lapidi servono per conservare la memoria, se non si possono leggere diventano inutili. Purtroppo è come per i tabernacoli: se c’è da sistemare un cassonetto, si mette davanti a un tabernacolo, dove in teoria non dà noia a nessuno. Invece anche questi sono segnali che indicano come una pagina della nostra storia si sta chiudendo. Pensi alle lapidi per la Madonna, che sono in assoluto le più numerose a Firenze. Ora, il culto mariano uno può condividerlo o meno, ma se si perde la memoria del contenuto spirituale o culturale di un’opera, questa finisce per diventare come il Partenone. Un bel mucchio di sassi che i turisti si portano via».
Data recensione: 01/04/2007
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Beatrice Manetti