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La splendida edizione in facsimile, promossa nell’occasione del centenario alfieriano, mette a disposizione degli studiosi i due preziosi volumetti del ms. Laur. Alf. 24 contenenti la seconda stesura della

La splendida edizione in facsimile, promossa nell’occasione del centenario alfieriano, mette a disposizione degli studiosi i due preziosi volumetti del ms. Laur. Alf. 24 contenenti la seconda stesura della Vita dell’Alfieri; e vi aggiunge, in un terzo volume di Commentario, un saggio illuminante di Gino Tellini (Sull’autobiografia alfieriana, pp. VII-LV), una dettgaliata Descrizione codicologica e bibliografica di Franca Arduini (pp. LVII-LXX) e uno studio approfondito di Clemente Mazzotta su La tradizione della Vita scritta da esso e il Laurenziano Alfieri 24 (pp. LXXI-XCIX). Nello stesso volume, a Mazzotta si deve poi la trascrizione interpretativa dell’autografo. L’opera, concepita da Alfieri negli anni parigini, segna l’importazione nella nostra letteratura del genere della moderna autobiografia, il cui archetipo va riconosciuto nelle Confessions di Rousseau, molto più che negli antecedenti d’età rinascimentale, o, da ultimo, nel Progetto ai letterati d’Italia per scrivere le loro Vite (1721) del Porcia, che produsse scritture ancora d’impianto normativo e pedagogico. Con l’autore francese si era aperta la strada alla liberazione dell’io, coi suoi desideri, inquietudini, sogni, in aperta rottura col classicistico, nonché arcadico, richiamo all’armonia e all’autocontrollo.
Il nuovo modello, di cui si hanno segni sempre più espliciti nelle memorie della seconda metà del secolo (con Goldoni, Gozzi, Casanova, Da Ponte), significava anche l’adozione di schemi più mossi, mediati, di volta in volta, dal romanzo, dall’epistola, dalla commedia, e forse più direttamente, dai mémoires, fioriti ai margini delle corti di Francia a cavaliere di Sei e Settecento. A tale modello sembra, infatti, ricondurre il gusto dell’allegato testimoniale, ben vivo ancora nell’Alfieri; e, soprattutto, la dialettica tra cronaca e storia, tra punti di vista individuali e ragioni superiori ed ideali, proprie, rispettivamente, dell’io protagonista (l’héros) e del narratore (l’historien).
Nella memorialistica dell’Alfieri c’è però una sapienza tutta caratteristica della scrittura, evidenziata soprattutto dall’organicità del racconto, che tende verso un punto-cardine, rappresentato dal «secondo intoppo amoroso» londinese. L’episodio è posto nel cuore del libro (nel capitolo trentesimo su sessantuno), e vale come autentica rinascita dell’io: non più «ignoto a se stesso» e lanciato da quel momento al superamento delle difficoltà, consistenti nella ricerca di una lingua adatta a dare corpo ad un orizzonte inimitabile di idee e affetti. La riuscita del percorso biografico, insomma, s’innerva perfettamente nella strategia compositiva. In tal modo, la prima parte dell’opera vede la dissipazione di una personalità d’eccezione, che consuma nell’ozio il bollore delle idee e l’effervescenza creatrice; sempre preda della «solita malinconia, la noja, e l’insofferenza dello stare» (Vita, III 3), eppure avendo di sé continue premonizioni e la forte sensazione di un traguardo a cui mirare: fino al momento accennato, che rappresenta il fondo della depressione e prelude al disinganno, menando dritti al momento lungamente preparato, la nascita dell«autor tragico».
La consapevolezza nuova dell’autobiografo si mostra, con chiarezza, quando si raffrontino le stesse vicende nelle pagine diaristiche dell’autore, con riferimento particolare ai Giornali. Le due esperienze di scrittura si distinguono, infatti, per la diversa temporalità: il presente, la cronaca, che dominava nei Giornali, di contro alla prospettiva della distanza, della storia, che caratterizza la Vita; ma, soprattutto, per la diversa mira: la sincerità del diarista, mosso da un intento autoeducativo, da un lato, di contro alla verità dell’«autor tragico», dall’altro. La diversa inquadratura ha comportato il montaggio nuovo di ogni tassello, ora reso funzionale al disegno complessivo, non alterandone la natura, ma chiamandolo anch’esso a meglio definire il profilo ideale del protagonista. La vicenda biografica è così recuperata con piglio selettivo, soffermandosi solo sui presagi e gli indizi della missione alfine individuata. Ciò che sembra richiamare quanto avveniva gà nelle vite dei santi o, che è lo stesso, nelle vite degli eroi e degli uomini illustri; ma avendo cura di evitare il rischio dell’agiografia, contro cui sono chiamati a far argine l’ironia e lo stile colloquiale, sì da bilanciare l’irrequietezza, la “comicità” della natura colla volontà tragica, e da comporre insieme il bifrontismo “insanabile” di Tersite-Achille.
Sotto l’aspetto specificamente testuale, l’accuratezza con cui il manufatto fu preparato, compresa l’alternanza di titolo corrente sul verso delle carte e dei capitoli sul recto, farebbe pensare a prima vista ad un’impaginazione in vista della stampa. Ma così non è, appena si consideri il nitore della scrittura, perfettamente allineata, e la preziosità delle dorature dei tagli e della legatura. Sono elementi che attestano come la trascrizione fosse destinata dall’autore ad una fruizione tutta privata, tra sé e la sua donna; pur non escludendo una sua divulgazione, ma riservata ai posteri (ciò che giustifica gli appeli al lettore nella Parte Seconda).
Il Laur. 24 è, dunque, una bella copia, eseguita negl ianni 1798-1803, proveniente dal lascito di François-Xavier Fabre, l’erede delle carte alfieriane dopo la morte della contessa d’Albany, il quale, nel marzo del 1824, fu costretto a concordare col granduca il modo di esportate la gran parte delle tre biblioteche (sua, della contessa e di Alfieri) che oggi stanno a Montepellier. In cambio del permesso egli offrì gli autografi dello scrittore, tra cui il Laur. 24 che, tuttavia, è di pugno dell’autore solo in parte: per intero nel I vol., mentre nel II solo nelle cc. Ir-20r e 21r limitatamente al titolo, oltre all’inserto incollato a c. 63r, le cc. 21r-62r, che recano la Continuazione della Quarta Epoca, sono invece una copia, di mano di Francesaco Tassi, già segretario dell’Alfieri e poi uomo di fiducia della Albany. E qui nascono i problemi per l’editore, di cui solo negli ultimi anni, con gli aviluppi della filologia d’autore, si è preso davvero consapevolezza. La Vita è, infatti, a tutti gli effetti un’opera incompiuta, che è stata colmata postumamente da altri, sulla base di materiali preparatori: vale a dire, della stesura conservata nel ms. Alf. 13, interamente autografo. Tale ms., che probabilmente rappresenta già una stesura diversa dall’abbozzo primitivo, fu, dapprima, sigillato dall’autore, il 27 maggio 1790, con l’impegno solenne a non più rivedere quelle «ciarle» fino ai cinquant’anni; quando la sua carriera letteraria avrebbe dovuto, in ipotesi, essere conclusa, e sarebe stato possibile un bilancio definitivo. L’apertura fu, poi, anticipata di quasi un anno sul programma, per leggere la Vita all’Albany e averne un giudizio; dopo che già erano stati fatti preparare i due volumetti destinati ad ospitare la redazione ultimativa. Ad essa l’Alfieri provvide nel Laur. 24, passando, di nuovo, da una scrittura intermedia, condotta su carte perdute: perlomeno, in rapporto alla Parte Prima, che risulta argintata (nel fine della c. 19v del Laur. 24) dalla data del 2 maggio 1803; quanto alla Parte Seconda, i capp. XX-XXI dell’Epoca IV furono aggiunti dall’autore nel ms. 13 (cc. 132v-1999v), utilizzando abbozzi preliminari via via eliminati; salvo, forse, gli ultimi tre capitoli, dove procedette, a quanto pare, direttamente sul ms., che presenta qui fitti rimaneggiamenti.
Ciò che importa è che, alla morte dell’Alfieri, la parte finale dell’opera attendeva di essere sgrossata e limata, prima di venire accodata al Laur. 24. A questo punto intervennero l’abate Caluso e il Tassi, l’uno in veste di curatore della princeps delle Opere postume, l’altro di suo copista. Il Tassi fu incaricato di completare il Laur. 24, ma attingendolo non direttamente dall’Alf. 13, bensì da una copia postuma, il Montp. 61 II, anch’essa di sua mano, che era servita a Caluso per esercitare il suo minuzioso editing, volto a normalizzare il testo: con l’espunzione di quanto appariva politicamente scorretto e l’aggiunta di (due) lettere dell’Alfieri a lui indirizzate, oltre ad una propria; soprattutto, col dare compiutezza ad un testo incompiuto, in perfetta sintonia con la prassi del tempo, e con quanto negli stessi anni andava compiendo il Reina per il Giorno di Parini.
Gli appicchi, gli adattamenti, le giunte, anche le sviste, del Montp. 61 II, passarono dunque nella parte apografa del Laur. 24, seppure questa fu poi ricollocazionata coll’autografo Laur. 13. A questo punto, attraverso un6altra copia, Montp. 59 XII, che trascrive l’intera produzione alfieriana, si giunse alla stampa delle Opere (to. XII-XIII), per i tipi del Piatti fiorentino, con data Londra 1804 (ma: dicembre 1807), che fu, a sua volta, all’origine della vulgata della Vita.
Dopo la meritoria edizione critica di L. Fassò (1951), si è preso coscienza della necessità di non travalicare lo stadio, seppure imperfetto, a cui l’Alfieri aveva condotto la Vita; e si sono avuti avanzamenti in tal senso, specie con le edizioni curate da Dossena (1967), A. Di Benedetto (1977), P. Larson (1997). ma ancora la Vita attende una sistemazione in linea con l’autentica ultima volontà dell’autore. E questa rispoduzione in facsimile vi avvia nel concreto. Intanto, per la cura prestata nella trascrizione, ispirata a «criteri di ragionevole rispetto degli usi ortografici, abbreviati e interpuntivi dell’originale» (Comment., p. LXXXVI), che già contribuisce a rivedere il testo fermato dal Fassò; ma, soprattutto, perchè Mazzotta ha poi collazionato, limitatamente alla sezione postuma (Proemietto alla Parte Seconda e capp. XX-XXXI dell’Epoca IV), tutti gli scostamenti della lezione del Laur. 24 rispetto all’Alf. 13: scostamenti che risultano, in più occasioni, di notevole peso (p. 10 ll. 16-30, p. 22 ll. 9-21, ecc.), e dipendono con evidenza dallo stato di annotazione incondita in cui la prima stesura era rimasta.
Data recensione: 01/01/2006
Testata Giornalistica: Filologia e critica
Autore: Renzo Rabboni