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Nella lucida e ariosa introduzione Neil Harris annuncia, in modo perentorio e lapidario, che Incunaboli e cinquecentine delle biblioteche dei Cappuccini di Toscana è un catalogo “d’autore” e “bibliologico”, dal cui “binomio

Nella lucida e ariosa introduzione Neil Harris annuncia, in modo perentorio e lapidario, che Incunaboli e cinquecentine delle biblioteche dei Cappuccini di Toscana è un catalogo “d’autore” e “bibliologico”, dal cui “binomio concettuale” deriva a corollario ciò che è stato fatto da Antonella Grassi e Giuliano Laurentini, i quali figurano infatti nel luogo fisico del frontespizio destinato agli autori. Offre inoltre, attraverso la scansione di tutti i meditati passi compiuti nel dar vita al catalogo, utili suggerimenti a quanti si apprestino a un lavoro analogo a quello compiuto nel Convento di Montughi a Firenze, la fusione di raccolte appartenenti ai Cappuccini della provincia toscana.
Ma prima di confrontare bibliotecari e studiosi che si accingono in similari e difficili (a volte persino disperate) imprese, offrendo loro quella che il prefattore pensa sia la ricognizione utile e indifferibile, Harris espone la sua chiave interpretativa sulla solerzia e sull’“amore” per il libro che ha animato molte analoghe gesta dei Cappuccini, a cominciare da un loro antico contributo (Le cinquecentine della Biblioteca provinciale Cappuccini in Reggio Emilia), pubblicato a Parma dallo Studio bibliografico editore e risalente al 1972, un’epoca in cui pochi enti in Italia, in realtà, davano prova di tanta “cura” volta a tutelare, difendere, rendere noti e disponibili fondi librari che spesso appaiono di incommensurabile valore, non solo documentario (p. 8, nota 2).
Nella storia degli incunaboli e delle cinquecentine del Convento di Montughi - così come sempre Harris racconta - l’interesse per gli incunaboli e le cinquecentine dei Cappuccini di Firenze risale al lontano 1988 ed è ascrivibile alla acribia di Giuliano Laurentini, il quale descrisse 21 incunaboli e 596 edizioni del XVI secolo. Ma è solo a seguito di ulteriori fusioni, dovute a un motivo dominante di questi ultimi decenni, la contrazione in un unica sede di fondi librari eterogenei per la chiusura di conventi minori, dettata in gran parte dalla crisi delle vocazioni e dalla necessaria contrazione della capillare presenza dei fati sul territorio provinciale, che il fondo si è ulteriormente arricchito. È questo un motivo assai convincente, anche se va opportunamente rilevato che l’aver riunito a Montughi - tenendo nel debito conto il posto che ciascuna unità libraria occupava nelle collezioni originarie e sottraendola alla inevitabile trascuratezza e alla conseguente dispersione - libri di conventi via via abbandonati rivela un sempre più alto grado di sensibilità bibliografica da parte degli enti religiosi, i quali hanno alle spalle una tradizione senza uguali. La biblioteca di Montughi è stata dunque eletta a luogo di raccolta e ha portato a questo nuovo catalogo. I dati parlano da soli: il totale degli esemplari descritti è ora di 53 incunaboli e 1.502 sono le cinquecentine. E a sostegno dell’importanza di questi dati Harris valuta dapprima la collezionare in rapporto alla entità che le edizioni censite trovano all’interno della città di Firenze, avvalorando ancor più la validità di una simile impresa catalografica. Anche nei confronti di altre realtà, in particolare della British Library di Londra e della Bibliothèque nationale di Parigi che hanno una più bassa percentuale di libri antichi a stampa pubblicati nei due rispettivi paesi, svetta la situazione italiana da anni sotto il controllo di Edit16, sulle cui proiezioni del pubblicato corre l’obbligo di ricordare un intervento di Lorenzo Baldacchini e uno analogo di Alfredo Serrai, entrambi volti a valutare le dimensioni della produzione a stampa e la geografia di ciò che si è stampato in Italia nel secolo d’oro, i cosiddetti materiali minori.
Harris passa poi a offrire suggerimenti a chi si appresta a catalogare un fondo, del quale si rende dapprima necessario conoscere l’entità numerica dei libri che lo compongono e con cui si avrà a che fare, prima ancora di passare al lavoro di descrizione. Anche nei confronti di esemplari mutili, che in molti luoghi vengono tenuti per ultimi e qualche volta neppure passati al vaglio del catalogatore, Harris offre una serie di criteri atti a riconoscere l’opera e a identificare pertanto anche l’edizione, chiarendo i principi con i quali ci si deve accostare ai libri antichi. Come sempre ben impostate, le sue indicazioni bibliologiche gli consentono di calare un’edizione con le sue relative emissioni all’interno di uno spaccato storico, cogliendo gli aspetti più significativi del lavoro tecnico nelle officine soprattutto cinquecentesche.
Le osservazioni proposte a viatico delle schede costituiscono un modello nella consapevolezza che la grande esperienza del bibliografo inglese, ormai naturalizzato fiorentino, divine punto obbligato di partenza anche di differenti impianti catalografici, tuttavia debitori dei buoni risultati raggiunti dal presente lavoro.
Entrando nelle registrazioni, il catalogo presenta, in ordine alfabetico per autore e titolo, 1.011 edizioni, pari a 32 incunaboli e 979 cinquecentine. Ne fanno da soglia, imprescindibile alla sua intelligenza, le Note introduttive, stilate con l’intento di illuminare con sguardo di insieme i tratti bibliografici salienti del fondo librario oggetto dell’intervento. La dimensione storica della formazione della raccolta fa perno sulla celebre inchiesta della congregazione dell’indice, condotta fra il 1596 e il 1603, nelle biblioteche religiose italiane (eccetto quelle dei Gesuiti e dei Domenicani), che toccò anche 22 conventi di Toscana, cui sono ancor oggi ascrivibili 255 esemplari superstiti, puntualmente individuali. Si passa poi a esaminare la struttura e la composizione del fondo librario, con osservazioni sulla cronologia e sulla geografia delle edizioni - essenzialmente biblico-teologiche , con prevalenza della teologia controversistica - attestate dai volumi sopravvissuti, sulla congiunta dimensione letteraria (autori, opere, lingue), nonché sugli effetti, anche materiali, della censura sulle carte degli stessi volumi (rasure, nomi e porzioni del testo depennati, coperti o addirittura asportati). Le Note mettono a generosa disposizione dei consultatori brevi profili dei più significativi possessori, disvelati dalle note manoscritte, quando non da veri e propri ex libris, fra i documentati preme segnalare almeno quelli del benedettino Vincenzio Borghini e del cardinale Ercole Gonzaga. Anche i vestiti del libro trovano il proprio spazio; gli esemplari cappuccini abbondano in legature sei-settecentesche, assai povere, come si conveniva a un ordine mendicante che si era dato specifiche istruzioni a proposito, almeno dalle Costituzioni del 1608. Le Note offrono infine analisi quantitative che costano enormi sforzi di elaborazione, tutti ripagati però dai brillanti esiti ottenuti: apposite tavole consentono di valutare la diffusione delle edizioni in rapporto al contesto geografico culturale, insieme con il grado di originalità e di rarità della collezione libraria oggetto di indagine. Dal riscontro della presenza di esemplari appartenenti alla medesima edizione nelle quttro maggiori biblioteche statali di Firenze (nazionale centrale, Marucelliana, Laurenziana, Ricardiana) e in tre biblioteche cappuccine italiane (Trento, Firenze, Livorno) si ricava come il tasso di sovrapposizione delle edizioni varia da un minimo dell’1,4% (Livorno) a un massimo del 34,5% (Nazionale centrale).
Le schede sono redatte secondo “un vero e proprio codice cappuccino di catalogazione per il libro antico”, come anticipato da Harris (p. 8, nota 2), fondato sulla trascrizione semi-diplomatica del frontespizio o delle carte incipitarie, sulla opposizione edizione/esemplare, sull’integrazione dei dati mancanti negli esemplari mutili, sul corredo di repertori bibliografici, richiamati in calce a ciascuna registrazione (il puntuale elenco dei Repertori citati è alle p. 65-70). La registrazione si compone di cinque elementi: intestazione, citazione breve, descrizione bibliografica completa, note di esemplare e collocazione. L’intestazione basata sulle RICA, pur accogliendo suggerimenti dal Censimento nazionale delle cinquecentine e da altre importanti liste di autorità (ad es. ACOLIT), apre l’accesso alla citazione breve, che si compone del titolo uniforme e delle note tipografiche, in forma sintetica e, in parte, normalizzata (luogo, tipografo/editore/libraio, anno, distinti da una punteggiatura ispirata alla sintassi ISBD), per un’immediata rappresentazione simbolica dell’edizione. Mi soffermo con particolare insistenza sull’intelligente corredo alle descrizioni bibliografiche redatte in forme semi-diplomatiche, non sempre perspicue a consultatori inesperti. La descrizione bibliografica è redatta in forma quasi-facsimile all’enunciato del frontespizio, delle carte incipitarie o del colophon, rispettandone caratteri, a capo (indicati con barra verticale semplice, simbolo periglioso, perché utilizzato nel libro di antico regime tipografico), abbreviazioni, punteggiatura, alternanza maiuscole/minuscole, alfabeto, colore, linee, decorazioni, marche, tutti aspetti segnalati con cura. Si è escogitata la strategia di includere la descrizione dei frontespizi fra parentesi quadre, se calcografici. Pochissime le eccezioni, alcune delle quali forse evitabili: le citazioni bibliche in forma di epigrafi e gli indirizzi al lettore, non riportati; la barra diagonale (/), trascritta come virgola (;). Le note bibliografiche che completano la descrizione dell’edizione includono il formato (giustamente espresso con la formula editoriale, senza riferire qui le dimensioni dell’esemplare), l’estensione in pagine, carte o colonne, formula collazionale, impronta, classe del carattere e linee dello specchio di stampa. Seguono le indicazioni paratestuali (prefazioni, dediche, indici ecc.) e note sull’ornamentazione, sia decorativa sia illustrativa. La descrizione si avvantaggia poi dei riferimenti ai repertori bibliografici consultati, sussidio basilare per lo scopo bibliogafico del catalogo, che mira alla copia ideale. Nettamente distinta è l’area dell’esemplare, che contiene le misure in millimetri dell’altezza e della base del frontespizio o delle carte incipitarie, nonchè ogni notizia su mutilazioni, postille, note manoscritte, provenienza, interventi censori, legatura, precedenti segnature di collocazione. La scheda termina con la collocazione, che fa riferimento al convento di provenienza e al numero di catena del volume sul pacchetto.
L’ordinamento interno delle schede è cronologico, pare di intendere, per anno di edizione.
Impreziosito da ben sei indici (degli autori secondari, ossia degli accessi alternativi; dei tipografi e degli editori; dei luoghi; degli anni di stampa e/o pubblicazione; dei possessori; delle provenienze), alcuni redatti sul noto modello trentino, il catalogo si fregia di bellissime riproduzioni, anche a colori, sulle quali si misurano correttezza e fedeltà dei dati trascritti.
Quanto all’importanza dell’intervento catalografico, basti ricordare che se gli esemplari del XVI secolo, purchè stampati in Italia, sono segnalati in Edit16, non così avviene per i più prezioso incunaboli, molti dei quali non sono inclusi neppure nell’IGI.
Non resta che concludere con brevi osservazioni: quando un catalogo è improntato a serietà e rigore di metodo, quando porta novità nel campo della conoscenza di edizioni non registrate in altri importanti repertori, quando applica una griglia descrittiva il più possibile omogenea, fa dire a chi lo consulta che il cartaceo è ancora molto ambito, anche se si vorrebbe che esso fosse riversato on line o, almeno, in un cd per offrire un doppio e valido binario per la consultazione.
Data recensione: 01/06/2006
Testata Giornalistica: Nuova Informazione Bibliografica
Autore: Maria Gioia Tavoni