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La città ha aspettato il 4 novembre 2006 sotto una luna splendente in un cielo terso e freddo. Ha atteso un giorno speciale, il 40° anniversario dell’alluvione, l’evento più sconvolgente che

La città ha aspettato il 4 novembre 2006 sotto una luna splendente in un cielo terso e freddo. Ha atteso un giorno speciale, il 40° anniversario dell’alluvione, l’evento più sconvolgente che ricordi dopo la guerra. Allora, era il 1966, la notte era violata da un pioggia battente che durava da giorni e che non dava tregua. Ma nessuno presagiva la tragedia. “Tutto è cominciato all’improvviso, senza segnali, senza che fosse possibile sapere in tempo...”, con queste parole rotte dalla commozione Richard Burton commentava le prime immagini che passavano sulle televisioni del mondo intero. Nelle prime ore di un mattino grigissimo, l’Arno, che nella memoria collettiva è da sempre “d’argento” ruppe gli argini e inghiottì nel fango la città, la sua cultura, la sua arte, la sua storia. Ricordare per capire, crescere e continuare a convivere con il proprio fiume. Riappropriarsene non si può, perché i fiorentini non lo hanno mai abbandonato, certo lo hanno odiato e bestemmiato, ma mai disconosciuto. E quarant’anni dopo lo addobbano a festa, quasi ad esorcizzare una paura latente. Iniziative in ogni angolo, convegni, spettacoli, proiezioni e mostre si protrarranno fino a metà dicembre. Tornano gli “angeli del fango” alla Biblioteca Nazionale, in Piazza S. Croce, in via dei Georgofili, agli Uffizi e nella Sala D’Arme di Palazzo Vecchio, con gli scatti di David Lees. La mostra David Lees for «Life». Triumph from tragedy- I giorni dell’alluvione , visibile fino al prossimo 7 gennaio, documenta le tre fasi determinanti dell’evento: la devastazione, il recupero e il restauro. Il grande fotografo coglie nel simbolo l’essenza della tragedia. La 500 in primo piano desolatamente abbandonata in mezzo al fango come la statua della Madonna tra le macerie della chiesa di S. Croce. Rispettivamente oggetto e soggetto di idolatria e culto. Rappresentazioni di un “credo” profanato, un senso della vita sociale e spirituale azzerato. Le immagini riportano allo stupore ed allo shock che annichilirono le coscienze nei primi giorni dopo la tragedia. Ma il momento più difficile venne dopo, quando, da spettatori atterriti, i cittadini si dovettero fare attori, per sgomberare la città da mezzo milione di tonnellate di fango, nafta, petrolio e ogni genere di detriti. Solo l’artista intravede un futuro. David Lees ha un passo lungo che travalica la tragedia e fissa col suo obbiettivo “il ritorno del sole”, la tenue rinascita, la melanconia che è ricordo ma anche tentativo di ritrovarsi e di ritrovare. Dalle pagine della rivista «Life» Lees racconta al mondo la tragedia, ma in copertina mette la speranza nella splendida foto del Cenacolo di Taddeo Gaddi in via di restauro dopo appena pochi mesi. Quel numero storico di «Life» è il fulcro di una suggestiva installazione. Ricoperto da un velo d’acqua limpida sottende ai frammenti del Cristo di Cimabue devastati dalla melma. Suggestione anche fuori: il Palazzo Della Signoria, la Loggia Dei Lanzi e il Biancone sono illuminati di viola. Il colore della città o il colore del lutto? Una grande scenografia. Su Ponte Vecchio e su Ponte alle Grazie raggi laser identificano il livello dell’acqua. Fumo e rumori salgono dalle sponde del fiume. Per molte decine di metri intorno a Ponte Vecchio baluginavano allora, nel grigiore dei giorni seguenti, oro e preziosi provenienti dalle botteghe orafe, e sul lungarno della Zecca Vecchia il patrimonio della Biblioteca Nazionale Centrale galleggiava.
Data recensione: 06/11/2006
Testata Giornalistica: Exibart
Autore: ––