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Il disegno della Toscana (Edizioni Polistampa 2023) di Andrea Ponsi è, senz’altro, un quaderno di schizzi...

Il disegno della Toscana (Edizioni Polistampa 2023) di Andrea Ponsi è, senz’altro, un quaderno di schizzi di viaggio, ma non solo. È un libro che si guarda e si legge. Ponsi non assomiglia al personaggio d’un suo racconto che, a furia d’interrogarsi se sia meglio disegnare o scrivere, non fa né l’una, né l’altra cosa. Lui, all’ opposto, scrive e disegna; acquarella, scrive. Il titolo insiste giustamente sulla parola disegno perché la parola disegno non designa solo una figura o quel che sta sotto il colore, ma significa anche progetto, piano d’azione: una fissazione grafica e un prospetto. Il disegno (il disegnare) figura e prefigura. Questo viaggio attraverso paesaggi e città, è scandito da prefigurazioni e figurazioni, da attese e arrivi. E ripartenze. I brevi testi che accompagnano le figure e i colori, stanno come gli haiku alle stagioni della natura o della memoria, solo che, più direttamente, vogliono sciogliere accostamenti arditi in informazione e racconto. Un haiku direbbe: “Vespe, Lambrette non si stancano nell’attesa. Indolente, la luce illude l’estate”. Ponsi scrive un racconto che ha anch’esso, l’energia d’una miniatura potente ( “Qui nelle sue sale o appoggiato alle vespe e alle lambrette parcheggiate di fronte, ho trascorso interi pomeriggi nell’oziosa indolenza dell’estate a parlare della vita”), ma non teme di documentare, perché il documento è, in questo quaderno, così come la grafite sotto il colore, l’ancora della libertà. Documento e allusione, didascalia e inespresso, s’intrecciano alle luci e alle parole, ai segni e ai percorsi, restituendo la geografia d’una premonizione, il presagio d’un presente. Un confine sottile segna la differenza tra l’umano e il non umano. Nella splendida suite sulle Apuane pulsano le vene d’una sinopia introvabile (senza artefice) che restituisce la morfologia (senza data) della cosa. Per contrasto, il testo informa, trae notizie dall’ orizzonte e riconduce alla definizione dei nomi lo spaesamento, come Prospero le capre, all’ ora del vespro. Anche nelle spiagge, anche in Massaciuccoli e in Baratti (dove le sabbie sembrano generare perfino l’acqua) o nelle Crete (fluidi terrestri) o nella Carta delle Isole (qui ci si abbandona alla metafora petrosa dell’ emerso) s’incarnano forme e silenzi. Le città sono, invece, sogni di segni, evocazioni, visioni documentarie, spesso tenute per mano da memorabili schizzi verbali (Il ponte Santa Trinita, il “dialogo” tra Palazzo Vecchio e la Cupola di Santa Maria del Fiore...) di Storia, di scantonamenti e effrazioni colmi di ammirazione. Analogie in atto, che accarezzano la bellezza consolidata, illuminandola dalle prospettive della progettualità: l’architetto ridisegna le linee d’una cancellazione, smonta e rimonta nel rigore d’una misura visionaria. Ma, soprattutto, una cosa Ponsi sa fare: restituire il respiro d’una città, il tempo d’un paesaggio, senza edulcorare o ingentilire. Talvolta i viola precipitano sulle torri, le logge si trasformano in caverne, i blu assediano forti, palazzi e chiese con la promessa di tempeste come se anche nella proverbiale misura toscana si potessero aprire crepacci inattesi. Ma tutto questo – sembra dirci – ha resistito. Le pietre, i cipressi, la macchia, il mare, gli archi romanici, la creta e il fiume, i monasteri, le fortezze, hanno resistito e ci fanno esistere. Non voglio citare nessun predecessore di Ponsi, nessun viaggiatore incantato, nessuno straniero innamorato dell’ Italia, di Firenze o di Siena (la Versilia, forse, l’amò senza condizioni, solo D’Annunzio e fu un amore corrisposto). Lui è un architetto dello stupore, un “contem-plattivo”. Non so quanti ce ne siano o ce ne siano stati

Sapo Matteucci
Data recensione: 09/12/2023
Testata Giornalistica: Cultura Commestibile
Autore: ––