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Dallo scorso 16 dicembre e fino all’8 gennaio il foyer del Teatro Niccolini ha ospitato la personale Particolari dell’artista Filippo Rossi,

Al Teatro Niccolini la personale dell’artista dedicata al tema della luce
Per l’occasione è stata pubblicata da Polistampa una monografia con il testo introduttivo di Timothy Verdon


Dallo scorso 16 dicembre e fino all’8 gennaio il foyer del Teatro Niccolini ha ospitato la personale Particolari dell’artista Filippo Rossi, una riflessione sul tema della luce, da sempre centrale nella sua produzione. Esposti una grande scultura e una ventina di dipinti, alcuni recentissimi, prevalentemente sui toni del grigio, del nero e dell’oro con qualche accenno di colore. In occasione della mostra, la casa editrice fiorentina Polistampa ha realizzato un’importante monografia, con il prezioso testo bilingue di Timothy Verdon, intitolata Passione Contemplativa. Ogni anno le edizioni pagliai Polistampa presentano l’opera di un grande artista contemporaneo (ricordiamo tra gli altri Guasti, Faraoni, Scatizzi, Loffredo, Alinari, Facchini, Ghelli, Maranghi, Nesi, Possenti, Guarnieri, Annigoni, Talani e Stefanelli) attraverso una mostra e la pubblicazione di un calendario. Ai moltissimi visitatori quest’anno è stato quindi offerto l’ormai famoso calendario artistico 2023, che quest’anno celebra il 25° dell’evento, con le opere di Filippo Rossi. Il momento magico della serata è stato tuttavia la presentazione del volume da parte dell’autore Timothy Verdon, accompagnato, oltre che da Mauro ed Antonio Pagliai di Polistampa e dall’artista, dal direttore del Museo del Novecento di Firenze Sergio Risalati e da Cristina Acidini, presidente dell’Academia delle Arti del Disegno. Sergio Risaliti, nel corso del suo intervento, ha cosi delineato i riferimenti storico-artistici del pittore fiorentino: “Sono soprattutto tre gli artisti la cui lezione Filippo Rossi ha studiato, assorbito e interiorizzato in maniera profonda: Rothko, Burri e Barnett Newman. Quest’ultimo, in particolare, ha raggiunto attraverso l’astrazione una trasformazione spirituale, un misticismo, una linea biblica più che evangelica. E come se Barnett Newman si ponesse di fronte al roveto ardente, guardasse la manifestazione di Dio e, spaventato, dipingesse quadri sublimi, eroici che manifestano l’assoluto invisibile. Filippo Rossi tenta di conciliare, in una tecnica pittorica molto raffinata, le passioni interiori, la personalità, il cammino di fede e lo sguardo sul mistero o sui misteri della fede”. La presidente Cristina Acidini si è soffermata, in particolare, sui pregi delle opere di piccolo formato: “Ci sono opere di Filippo che si ambientano magnificamente in contesti civili, privati. Apprezzo molto nella sua attività artistica quello  che viene descritto nell’ultima parte del libro, ovvero l’Officina dove Rossi crea le proprie opere cimentandosi tanto nel grande quanto nel piccolo formato. Mi vengono in mente, a questo proposito, le botteghe del rinascimento fiorentino e prima ancora quelle del Medioevo, quando dall’indirizzo artistico del maestro nasceva un’enorme quantità di idee che si traducevano nei grandi formati o nei cicli di affreschi o che all’occorrenza potevano diventare anche miniature oppure dare vita ad oggetti d’uso. Insomma, questa versatilità dell’espressione artistica che raggiunge pubblici diversi attraverso formati diversi è, a mio parere, molto interessante perché spesso oggi la fama di un artista è affidata soprattutto al grande o grandissimo formato, al ciclo pittorico sbalorditivo per le dimensioni delle tele. Ma è quando si tiene la qualità alta anche nel piccolo formato che si riconosce la bontà dell’invenzione, quando l’intera opera di un artista è attraversata da quello che Alois Riegl avrebbe definito un ‘kunstwollen’, cioè una volontà d’arte che pervade completamente tutta la produzione di un autore”. Timothy Verdon ha raccontato, invece, l’intreccio della sua storia con quella dell’artista che è all’origine del libro: “filippo mi ha affiancato nello sforzo di articolare sul piano metodologico l’intimo rapporto che percepisco tra arte e fede, leggendo le bozze dei miei libri, alla cui stesura ha collaborato qualche volta, e ascoltando, anche molte volte, le mie conferenze come organizzatore e compagno delle mie trasferte in Italia, Europa e America. Da parte mia, essendo da anni vicino a lui, alla moglie, ai figli, ai parenti e amici, credo di conoscere dall’interno la texture della vita di Filippo Rossi, anzi di farne parte. E se da un lato tale intimità accorcia la distanza richiesta dalla critica, dall’altro garantisce una soggettività informata che, sul piano storico, credo utile; “oggettivo” poi sarà il lettore che giudicherà sia l’artista che l’amico che qui ne narra la vicenda”. Filippo Rossi, intervenuto per ultimo, ha ringraziato i presenti, in particolare Verdon, ed ha spiegato il significato della luce nei suoi dipinti: “La luce, nella mia pittura, rivela trame, spessori, storture, soprattutto imper4fezioni: una superficie sgretolata, una linea storta, un colore indefinito, una ferita. Ed è soprattutto da queste ferite che si creano aperture necessarie per il passaggio della luce. Questo, infatti, è il compito della luce: risvegliare e far rivivere il colore che già possediamo, magari coperto da fosche tinte stratificate negli anni. Anzi, è proprio compito della luce accogliere, far risplendere, curare e risanare queste imperfezioni fino a renderle pura bellezza”.
Data recensione: 01/01/2023
Testata Giornalistica: La Toscana
Autore: Fabrizio Borghini