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È una storia di miseria e nobiltà quella che ha costellato la prima infanzia e l’adolescenza di Michelangelo

È una storia di miseria e nobiltà quella che ha costellato la prima infanzia e l’adolescenza di Michelangelo. Con un grosso trauma, la morte della madre quando il piccolo aveva appena sei anni, e varie scosse di assestamento che si sostanziano di un ambiguo rapporto col padre, ora fortemente conflittuale ora denso di amore filiale e di sensi di colpa. Dipende dai punti di vista. Il tema dell’Edipo non è semplice da affrontare neanche per il più grande, forse, degli artisti rinascimentali. Ce lo conferma l’interessante intervento di Alessandro Cecchi, direttore del Museo di Casa Buonarroti, nel recente volume edito da Polistampa dal titolo L’ombra paterna che analizza il ruolo del padre nell’arte di alcuni grandi interpreti dell’arte.
Direttore, nel suo saggio lei parla di un dialogo, tra Michelangelo e il padre Lodovico, mai del tutto sereno. Come se il nostro artista in fondo, anche da adulto, restasse sempre figlio e si mostrasse ora polemico e rivendicativo nei confronti del babbo, ora conciliante e addirittura protettivo. Dove sta la verità e da dove trae queste sue considerazioni?
«La verità sta nel mezzo. Ma prima parliamo delle fonti che mi hanno portato a queste conclusioni. Nel nostro museo di Casa Buonarroti custodiamo un archivio della famiglia preziosissimo che contiene tra le altre anche le lettere di Michelangelo al babbo, allo zio e ai fratelli e viceversa. È una fonte importante in cui c’è traccia di questo rapporto altalenante e si trovano molte notizie sulla sua vicenda privata. Si tratta di un carteggio che per la prima volta venne curato dal pronipote dell’artista, Michelangiolo il giovane, e che poi nell’800 venne rilegato e proposto in volume».
Michelangiolo il giovane è colui al quale dobbiamo il museo di Casa Buonarroti. È lui che diede avvio a quella galleria di opere in cui si celebra la grandezza del suo avo. Ma cosa ci mostra questo carteggio?
«Intanto ci fa capire chi era Lodovico. Un uomo di nobile casato –i Buonarroti Simoni erano una famiglia importante che aveva espresso sin dal ‘300 anche vari priori – caduto in bassa fortuna, incapace, come il fratello Francesco, di gestire i propri beni e convinto che per un personaggio di alto lignaggio qualunque lavoro fosse degradante. Il tema dell’indipendenza economica sarà centrale nei conflitti tra Michelangelo e il padre. Fu l’artista, per tutta la vita a mantenere tanto il babbo quanto i fratelli, e questo generò non pochi conflitti visto che più di una volta i suoi se ne approfittarono».
A tratti Lodovico sembra un maramaldo. In una lettera che lei riporta nel suo articolo e che è datata 26 settembre 1510 lui si scusa col figlio per aver prelevato dal suo conto una cifra maggiore di quella che Michelangelo gli aveva concesso, per l’esattezza 288 ducati invece di 100 al massimo…
«In effetti su questa vicenda dei soldi si consumò spesso il conflitto tra i due. Lodovico provò in varie circostanze a trarre maggiori vantaggi dal figlio celebre, più di quanti lo stesso Michelangelo non gli volesse concedere. Ma non è solo questa la ragione del conflitto tra i due. Lodovico non era contento della scelta del figlio di fare lo scultore, riteneva il lavoro manuale degradante per un Buonarroti. Così quando Lorenzo il Magnifico gli chiese di prendere sotto la sua tutela il figlio e di portarlo alla Scuola di San Marco lui fece delle resistenze. Sicuramente Lorenzo avrà conosciuto il giovane artista alla bottega del Ghirlandaio e avendone colto il grande talento si prodigò per farlo crescere. Pensi che per contrattare l’affido del ragazzo il Magnifico dovette promettere a Lodovico un posto da ragioniere alla Dogana, cosa che lui accettò con sufficienza. Il giovane fu a Giardino di San Marco dal 1490 al 1492 quando realizzò la Madonna della Scala e la Battaglia dei Centauri entrambe conservate al museo di Casa Buonarroti».
E quando entro lì era già orfano di madre…
«Esatto, questo è stato il grande dolore di Michelangelo. La madre, Francesca del Sera, apparteneva a una famiglia di piccola nobiltà che commerciava in vino. La leggenda narra che volle dare questo nome al figlio perché quando lei era incinta rischiò di perderlo cadendo da cavallo mentre era diretta col marito chiamato a fare il priore, a Caprese dove l’artista sarebbe nato. Francesca, e dunque anche il piccolo che portava in grembo, sarebbero stati salvati da San Michele Arcangelo, come narra La madre di Michelangelo cade da cavallo, un dipinto murale di Casa Buonarroti. Pochi anni dopo la mamma sarebbe morta e chissà che questa nostalgia di una figura materna giovane e bella non si rispecchi nel volto di Maria della Pietà vaticana come dicono in tanti, così come l’altalenante rapporto col padre si riverserebbe nella figura del Mosè come racconta in un altro saggio di questo libro Graziella Magherini».
Cosa ne fu del padre alla morte di Francesca?
«Si risposò, questa volta con Lucrezia degli Ubaldini da Gagliano, che morì due anni dopo. A quel punto a Michelangelo non restò che prendersi cura del padre e anche dei fratelli con tutte le contraddizioni del caso. Da piccolo fu anche picchiato più volte dal padre, e si tratta di episodi che l’artista stesso dettò al suo biografo Ascanio Condivi».
Lei parla di alterne vicende giustamente e nel suo saggio a un certo punto si accenna a uno strappo che segna definitivo e che data 1523. In una lettera al cognato del padre, il fratello della seconda moglie, addirittura Michelangelo scrive: Io fo conto di nonn avere né padre né frategli, né persona al mondo per me…
«Michelangelo aveva dovuto affrontare anche per vie legali il riconoscimento di un credito che aveva coi fratelli e col padre, ma poi la cosa rientrò. Tanto che in occasione della morte del padre, nel 1531, scrisse un sonetto in cui si rivolgeva con affetto e con rimpianto al padre. In definitiva l’artista visse sempre con pochissimi mezzi accumulando una fortuna un po’ perché era cresciuto con il complesso della povertà e un po’ perché si sentiva addosso l’onere di dover mantenere tutta la famiglia, cosa che lui fece sempre, costruendo anche una fortuna, investendo in terreni e conservando denaro. Alla sua morte, nel febbraio del 1564, il nipote Lionardo, unico erede del maestro, trovò un forziere pieno di monete d’oro e d’argento e un’eredità assai cospicua».
Data recensione: 06/02/2022
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Chiara Dino