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Dalla compagnia di Eduardo De Filippo se ne andò spedendo un telegramma. «Fu un gesto sconsiderato di gioventù

Stasera a 82 anni debutta ad Ancona con due atti unici di De Filippo. «In gioventù lo mollai, gesto sconsiderato»

Dalla compagnia di Eduardo De Filippo se ne andò spedendo un telegramma. «Fu un gesto sconsiderato di gioventù – racconta ridendo Carlo Cecchi – Volevo interpretare una commedia nuova come Il monumento e mi ritrovai fra Le voci di dentro e Sabato, domenica e lunedì. Non mi andava un granché, scappai. Eduardo non mi rispose ma a Angelica Ippolito disse che, se mi avesse incrociato, mi avrebbe preso a bastonate. Quando capitò non lo fece». Carlo Cecchi, 82 anni, fiorentino, mostro sacro della scena («a me però non lo ha mai detto nessuno»), protagonista cinematografico di assoluto rispetto, torna a teatro con due atti unici di Eduardo: Sik Sik l’artefice magico (che ha già allestito accostandolo in passato all’atto unico di Thomas Bernhard Claus Peyman compra un paio di pantaloni e viene a mangiare da me) e Dolore sotto chiave che realizza per la prima volta. Il dittico, prodotto da Marche Teatro, debutta oggi ad Ancona per proseguire in una lunga tournée che toccherà, fra l’altro, Firenze (2-5 dicembre), Modena (13-16 gennaio), Ravenna (20-23 gennaio), Milano (7-13 marzo). Con Cecchi (che firma la regia) sono interpreti Angelica Ippolito, Vincenzo Ferrara, Dario Iubatti, Remo Stella e Marco Trotta. «Credo che Sik Sik – racconta – sia in assoluto il capolavoro di Eduardo, l’atto unico perfetto. Il protagonista, un disgraziato prestigiatore, è un personaggio che amo e che ho interpretato molte volte. È una delle prime cose scritte da Eduardo. Dolore sotto chiave, invece, è un copione tragicomico di fine anni ‘50 che ho dovuto sfrondare dagli eccessi melodrammatici ».
Come furono, dopo l’incidente iniziale, i suoi rapporti con De Filippo?
«Ci siamo frequentati e lo vidi anche durante la sua ultima tournée a Milano. Gli telefonai per andarlo a trovare e lui mi disse di raggiungerlo in camerino perché dalle 4 del pomeriggio si sarebbe trovato in teatro. Andai alle 17, era giugno, batteva il sole, stentavo a vederci ma Eduardo era lì. Mi disse: “Vengo presto perché fuori mi scoccio e non vedo l’ora di entrare in scena alle 9“. Mi colpì, anch’io vado presto ma mai così».
Quali sono i personaggi teatrali a cui resta più legato?
«Sik Sik, di certo, ma anche Amleto. Adoro Shakespeare e il mio sogno segreto sarebbe fare Timone d’Atene ma una produzione di quel genere ha costi davvero elevati. Non ho rimpianti per la mia carriera, credo di aver fatto quello che dovevo, compatibilmente con le circostanze nelle quali mi sono trovato a lavorare».
Di recente ha preso parte per la prima volta a una serie televisiva, Un passo dal cielo. Che impressione le ha fatto?
«Mah... È stata una cosa nuova. Ero curioso di vedere di che cosa si trattasse e soprattutto mi ero scocciato di starmene fermo durante il lockdown. Il problema è stato girare ad alta quota, la pressione alta mi provocava continui mal di testa... Comunque non lo rifarei, anche se sono stati tutti gentili con me».
La sua fortuna cinematografica nasce con Morte di un matematico napoletano di Martone. Ha progetti al momento?
«Di nessun tipo ma, se capita, ci ragiono a seconda della proposta. Da giovane avevo fatto qualche film sperimentale ma certamente quel titolo è stato molto significativo. Mi è piaciuto girare anche Martin Eden... Devo dire però che il teatro, rispetto al cinema e alla tv, dimostra se hai talento o no. Non a caso in cinema e tv ci sono alcuni ‘cani’ che passano per attori ma nessuno ci fa caso».
Hanno detto che lei è un attore che recita e che pensa sul recitare. È vero?
«È proprio questa la ragione per la quale sono diventato regista. Recitando ho scoperto le regole del gioco e ho cercato di comunicarle agli attori con cui lavoro. A quel punto il gioco è passato a loro».
Che opinione ha dello streaming?
«Orrenda, il teatro si fa a teatro e poggia su tre elementi che sono testo, attore e pubblico. Se il pubblico non c’è, tutto crolla. Ora si riparte e, dopo Eduardo, aspetto un’idea che mi venga incontro senza sforzarmi troppo. Penso a un testo contemporaneo ma anche a uno Shakespeare. Vedremo».
La scena sembra ancorata ai grandi vecchi come Orsini, Lavia, Mauri... Prima cosa c’è?
«Non posso esprimere un giudizio compiuto perché la sera o lavoro o, a causa della mia pigrizia, rinuncio ad andare a vedere spettacoli. La nostra generazione ha studiato, aveva talento, si è formata. Quando io ero giovane negli anni ‘70 il mondo era culturalmente vivace, i miei punti di riferimento erano gli attori napoletani e il Living, ovvero due poli in apparenza contrastanti. Oggi tutto questo non c’è più ma in compenso si sono formate centinaia di scuole. Mi domando, vista la situazione, dove diavolo vadano a recitare tutti questi attori». Pensa mai, in tempi di crisi, che il teatro possa finire? «Credo che la recitazione in teatro si stia estinguendo e mi spiacerebbe se il teatro avesse un tracollo. Ma sono fatti di chi resta ». 
Data recensione: 18/11/2021
Testata Giornalistica: QN - Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno
Autore: Claudio Cumani