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Ventisette anni fa, il 4 agosto 1994, moriva Giovanni Spadolini, giornalista, docente universitario, esponente politico

Ventisette anni fa, il 4 agosto 1994, moriva Giovanni Spadolini, giornalista, docente universitario, esponente politico e alto rappresentante delle istituzioni pubbliche, senza dubbio una delle personalità culturali e politiche di maggior spicco espresse dal liberalismo democratico italiano nel Novecento. Il lavoro organico di Luigi Mastrangelo offre al lettore un’analisi antologica prismatica del suo pensiero politico. Da una citazione o da un volume, l’autore riesce ad aprire tasselli essenziali per comprendere lo spessore dello statista. Il fil rouge che intreccia tutti i capitoli può essere ricondotto all’inseparabilità della cultura dalla politica, in un continuo confronto, che non può e non deve mai essere scontro, ma costituisce sempre un reciproco arricchimento (p. 134). Nato a Firenze il 21 giugno 1925, il precocissimo Giovanni Spadolini, dotato di spiccato talento intellettuale e incredibile capacità di lavoro, ad appena dieci anni scrisse Avvenimenti e personaggi importanti della storia d’Italia nel quale già anticipava il peculiare legame da lui posto tra storia degli avvenimenti e storia della cultura (p. 8). Nell’estate del 1945 pubblicò per Vallecchi Ritratto dell’Italia moderna dove ricostruiva le vicende risorgimentali italiane, uno degli assi portanti della sua riflessione storica e politica successiva, mentre nel centenario dei moti indipendentisti diede alle stampe Il ’48. Realtà e leggenda di una rivoluzione. A soli ventinove anni, nel 1955 Spadolini diventò direttore del quotidiano bolognese Il Resto del Carlino, che avrebbe guidato fino al 1968. Contemporaneamente, Spadolini aveva iniziato a svolgere attività didattica alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze, diventando professore ordinario in Storia contemporanea nel 1960, con Gabriele De Rosa e Aldo Garosci, infine nel 1968 approdò alla direzione del Corriere della Sera in via Solferino a Milano. Un autore tanto prolifico, che conta quattro volumi di bibliografia e un mare magnum di suoi scritti, fra pubblicistica e ricerca storica. La connessione tra la politica e la cultura, filo conduttore identificato da Luigi Mastrangelo, si declina propriamente in ogni tema affrontato da Spadolini nel corso della sua vita: l’orgoglio delle proprie origini, la lezione dei maestri, l’europeismo, il pluralismo, l’idiosincrasia nei confronti di ogni forma di criptogoverno, il senso del dovere verso lo Stato e il rispetto verso le istituzioni (p. 133). Spadolini fu una personalità forte e multiforme, laico ma mai laicista, organizzatore culturale, eccezionale animatore di riviste, collane editoriali, convegni, uomo ambizioso, dinamico e aperto che per sua natura politica, tendeva alla composizione e non alla rottura, la mediazione era uno stimolante esercizio intellettuale. Storico capace e giornalista arguto, Spadolini credeva nel valore della parola scritta in quanto commento e approfondimento del fatto, «qualcosa di più valido della gelida ricostruzione di cronaca, risalendo alle radici lontane» (p. 11). La chiara e documentata ricerca di Luigi Mastrangelo tratteggia un protagonista di alto livello della vita politica e culturale italiana che purtroppo risulta ancora una personalità dimenticata dall’opinione pubblica e poco studiata dalla storiografia. Alcune battaglie di Giovanni Spadolini, come per esempio il distacco tra il paese reale e il paese legale, e la conoscenza approssimativa dei problemi politici specie tra i giovani, dimostrano la grande modernità e la sua attualità. La politica per Spadolini era «vocazione» al pubblico servizio, weberianamente intesa, mentre nell’Italia della cosiddetta Prima Repubblica, cresceva il peso delle oligarchie partitocratiche e dei centri di potere che traevano forza e autorità anche da fonti finanziarie; il paese finiva così per credere, a torto o a ragione, ad una classe politica incapace di rinno varsi, chiusa in se stessa, alimentando zone di “qualunquismo”, sfiducia e indifferenza (p. 12). Il 14 marzo 1972, per dissidi con la proprietà, si interrompeva la direzione del Corriere della Sera che passava il testimone a Piero Ottone. L’editoriale di commiato di Giovanni Spadolini può essere letto come un documento programmatico teso all’innesto tra cultura e giornalismo (p. 18); egli scriveva di aver vissuto il giornale come una sorta di specchio dell’anima, improntato sulla libertà della coscienza critica e sulla ferrea demarcazione tra i rapporti privati e i giudizi concernenti l’operato pubblico. Il Corriere era per lui il simbolo stesso della civiltà laica e democratica del nostro paese, fondata sulla ragione e sulla tolleranza; un giornale aperto, non dogmatico, disponibile al dialogo, pronto alla registrazione di tutte le voci (p. 17). Tuttavia si chiudeva solo una porta e si apriva una nuova fase; pochi mesi dopo, infatti, gli arrivarono da Malagodi, Saragat e La Malfa, varie offerte di candidatura per le elezioni al Senato, decise di candidarsi a Milano per il Partito Repubblicano Italiano, risultando eletto. Il testo di Mastrangelo mostra l’operosità instancabile di Spadolini anche come professore e politico, in qualità di segretario nazionale nel partito repubblicano, dal 1979 al 1987 (p. 18). Nella ricerca storica di quel periodo si occuperà del profilo e dell’azione politica di Giovanni Giolitti. Senza contare gli articoli sul tema di Spadolini ricordiamo le due più celebri monografie, Il mondo di Giolitti (1958) e Giolitti e i cattolici (1959): Giolitti è rivalutato ma non è mai idealizzato; viene così identificato con la parabola dell’Italia liberale, che passa da forme censitarie al suffragio universale, ma senza rinunciare alle direttive del liberalismo cavouriano e al culto del parlamento (p. 19). Nel volume L’Italia dei laici lo statista fiorentino ricostruiva invece la trama della rete di opposizione al fascismo sostenuta da Giovanni Amendola che aveva unito antifascisti liberali e democratici come Nello Rosselli, Luigi Einaudi, Ivanoe Bonomi, Meuccio Ruini, Luigi Salvatorelli, Carlo Sforza, Ugo La Malfa (p. 20). Di nuovo la vita politica lo poneva al centro della scena. Infatti nei giorni caldi della vicenda giudiziaria della loggia “P2” che provocarono le dimissioni del Governo Forlani, il Presidente Sandro Pertini chiamò Spadolini, per il suo equilibrio e la sua autorevolezza a formare il nuovo Governo. A lui il compito di recuperare la necessaria credibilità, sia nei confronti dell’opinione pubblica, sia nelle relazioni con i vari partiti (p. 25). Si inaugurava così una concezione nuova del ‘primato’ del Presidente del Consiglio, confermato da alcune circostanze: la perdita di peso dei partiti, non essere un democristiano, di provenire da un partito minore. Intellettuale fedele, anche se non acritico, alla tradizione risorgimentale, non può essere trascurato in questa sintesi il volume Gli uomini che fecero l’Italia (1993) che secondo Mastrangelo costituisce un tassello importante per ricostruire i tratti fondamentali del pensiero politico di Giovanni Spadolini e quello stretto rapporto tra letteratura e politica volto a costruire l’idea complessa di una nazione (p. 25). Il volume offre certamente allo statista la possibilità di confrontarsi sia sul piano letterario che politico con le riflessioni di Ugo Foscolo, Francesco De Sanctis, Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni, Giosuè Carducci, Goffredo Mameli, Agostino Bertani, Carlo Cattaneo e molti altri. Spadolini era un liberale aperto alla pluralità ideologica, e provò così a ricercare un’unità nel suo un variegato pantheon del liberalismo. Da docente universitario Spadolini conosceva il senso profondo del rapporto tra maestro e allievo, così individuava e sceglieva tra i suoi maestri Piero Gobetti, al quale dedicava il volume Gobetti, un’idea dell’Italia (1993) perché l’intellettuale torinese rappresentava il richiamo al coraggio dei propri ideali, l’assunzione di responsabilità, l’eroismo del proprio impegno (p. 54); il ‘laico’ Luigi Sturzo, che ben comprese il valore della componente democratico cattolica nella storia d’Italia, fondatore del partito popolare, impavido oppositore del regime fascista, senatore a vita del quale evidenziava il monito di evitare le situazioni di incompatibilità parlamentare e di conflitti d’interessa anche solo potenziali (p. 57); Alcide De Gasperi, al quale riconosceva un alto spessore morale incentrato sul riconoscimento dei diritti di democrazia e di libertà. Spadolini confermò nuovamente i suoi sentimenti di stima per lo statista trentino nel volumetto Tre maestri dedicato a Benedetto Croce, Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi (p. 59). Nei discorsi parlamentari di Spadolini la figura di De Gasperi costituisce una presenza costante, l’uomo di stato trentino invitava la classe dirigente italiana a superare gli storici steccati tra l’intransigenza guelfa e ghibellina, le contrapposizioni paralizzanti fra laicismo estremo e cattolicesimo confinante con il clericalismo. Non si può dimenticare il legame con Luigi Einaudi “professore il mattino, giornalista la sera” (p. 67) convinto dell’identità fra liberalismo e liberismo ma solo in quanto l’economia si identificasse con la morale. Anche quando era impegnato nella politica attiva Spadolini coltivava almeno indirettamente la ricerca e lo studio, come quando promosse la pubblicazione del saggio di Norberto Bobbio Le ideologie e il potere in crisi, perché riconosceva un’emergenza morale evidenziando – parole da Presidente del Consiglio - il problema di «centri di cospirazione affaristica e di destabilizzazione politica che avevano sequestrato intere fette del potere politico, gettando reti consistenti nei settori più delicati dell’amministrazione pubblica e anche dell’amministrazione militare» (p. 69). Il presidente denunciò che nel nostro sistema politico c’era un “sottogoverno” che agiva nella penombra e ancor più in fondo un “criptogoverno” che operava nella più assoluta oscurità. Come abbiamo già ricordato, il tema risorgimentale fu un leitmotiv nell’opera di Spadolini, basti ricordare lo studio Il Tevere più largo. Da porta Pia a oggi dove ricostruiva i complessi passaggi della questione romana, comprendendo come l’ubi consistam della spiritualità della Chiesa, non dovesse collocarsi nel territorio fisico ma nell’universale e immateriale delle coscienze (p. 76), le ricorrenti riflessioni su Mazzini e su Garibaldi, fantasia dello Spadolini bambino, che raccoglieva cartoline celebrative e cimeli, volte a dimostrare che la leggenda garibaldina fosse in sostanza il fondamento dell’Italia unita. Ma perché Risorgimento? Si interrogava con profondità l’intellettuale fiorentino. «Come poteva risorgere uno Stato italiano unitario che non era mai esistito? (…) In realtà risorgeva non lo Stato italiano, che non era mai nato, ma un’idea dell’Italia, dell’Italia come comunità di lingua e di cultura, con piena coscienza di se stessa, fiorita dopo l’avvento del volgare e con il contributo decisivo di Dante» (p. 83). Giovanni Spadolini fu membro eletto del Senato della Repubblica dal ‘72 al ’91 e poi senatore a vita, per sette anni, seconda carica dello Stato. Palazzo Madama, dedicato a «Madama», Margherita d’Austria, era da lui considerata una casa, una “casa di vetro”, per la trasparenza da dimostrare nei confronti dei cittadini; lo dimostrò anche nello studio Senato vecchio e nuovo dove ripercorse la storia dei luoghi e dei personaggi. Molti ricordano le sue prese di posizione come atlantista, Spadolini spiegò infatti che «i repubblicani avevano concepito l’alleanza occidentale come un legame di ordine culturale, prima ancora che politico- militare, nell’adesione fondamentale ai principi di una tradizione e di una storia comuni» (p. 97), l’Atlantico insomma era da lui inteso come mare che unisce. In tal senso lo statista, pur auspicando un generale disarmo, riconosceva alla Nato il contributo ad assicurare al nostro paese un lunghissimo periodo di relativa sicurezza e serenità. Il libro si chiude con il capitolo sul “mondo in disordine”, l’autore propone una carrellata sui cinque volumi pubblicati come Bloc-notes dove Spadolini accumulò una miscellanea di articoli e riflessioni che spaziavano dalla barbarie dell’olocausto e dalle conseguenze del razzismo nella vita sociale (p. 108); al fenomeno mafioso (p. 109), dopo la morte di Falcone e Borsellino, problemi complessi riconducibili all’emergenza morale e al persistere di centri di potere occulti; senza dimenticare la tematica europea, ripercorsa approfondendo l’impegno di Altiero Spinelli, profeta e Mosè dell’europeismo, conosciuto sin dal 1949 nella redazione del Mondo di Mario Pannunzio quando il movimento federalista stava muovendo i primi passi (p. 123). Il suo ultimo cruccio politico, alla vigilia della tempesta di Tangentopoli, riguardò proprio la degenerazione del sistema democratico che aveva trasformato i partiti, riconosciuti dalla Costituzione come associazioni libere per concorrere democraticamente alla vita politica nazionale in partitocrazia (p. 129). Morirà il 4 agosto 1994, il giorno prima ave va ricevuto una lunga telefonata da Papa Wojtyla, con il quale lo statista aveva sviluppato un profondo legame.
Data recensione: 01/01/2022
Testata Giornalistica: Storia e Politica
Autore: Nicola Carozza