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Sembra un personaggio da romanzo, Ferenc Ungar

«Chiamtemi Ungar» è il bel libro di Riccardo Catola. Da Budapest all’Italia: il racconto di una incredibile vicenda umana e professionale

Sembra un personaggio da romanzo, Ferenc Ungar. E invece esiste: vive a Firenze, dove è stato per molti anni ortopedico di fama al Cto, e dove è adesso felice patriarca. Sembra un personaggio da romanzo: nato negli anni Trenta a Budapest in una famiglia ebrea, scampato alla Shoah, fuggito dalla tragedia della rivoluzione ungherese del ’56. E poi approdato in riva all’Arno, con la donna che ha amato tutta la vita. Capace di costruirsi, dalle macerie della Storia. È una storia appassionante e densa di coraggio. Non la conosceremmo se non l’avesse raccontata, in un libro, Riccardo Catola, giornalista fiorentino che, con una scrittura da romanzo, firma «Chiamatemi Ungar». Una biografia che è come un romanzo, nata da lunghe conversazioni con Ungar, nel corso delle quali Catola ha assorbito, ha respirato racconti, aneddoti, dettagli, ricordi seppelliti. E alla fine, intriso di quella vita, l’ha raccontata in prima persona, come se fosse Ungar stesso a raccontarla. «Chiamatemi Ungar», edito da Polistampa, racconta una vita in trecento pagine, che si leggono con emozione. Ma è anche un tuffo nella Storia d’Europa, uno sguardo sui suoi orrori. Ed è un viaggio che approda a Firenze, tranquilla Terra promessa, dove è possibile vivere e coltivare sogni. Anche se Ferenc Ungar, per arrivarci, ha attraversato le voragini della storia del Novecento. Sopravvivendo, con una incrollabile fede nella buona stella. Una cartina apre il libro: è dell’impero austro-ungarico, prima che scoppi la Prima guerra mondiale. Va da Trieste fin quasi alla Russia, è il cuore dell’Europa. Si dissolverà: l’Ungheria ha perso il 70 per cento dei suoi territori, quando Ferenc nasce, nel 1936. Il padre è ebreo, la madre protestante. Poco prima che arrivino i nazisti a chiudere il ghetto, la mamma lo porta nella chiesa luterana, e Ferenc da ebreo diventa protestante. Ha in mano il documento che gli salverà la vita, quando nel novembre ’44 arrivano le SS e rastrellano gli ebrei. Poi Ferenc, studente entusiasta, partecipa all’abbattimento della statua di Stalin, se ne porterà via anche un frammento. E infine, approda in Italia, magro, lacero, senza un soldo. L’italiano lo impara andando al cinema. C’è Anna, la donna di cui si innamora, la madre dei suoi figli. Studia come un matto, e nel 1963 riesce a entrare nell’équipe di Oscar Scaglietti, numero uno dell’ortopedia italiana, a lavorare al Cto di Careggi. Da allora, vive a Firenze. Bella, colta l’introduzione di Franco Cardini. Nella sua Ungheria, Ferenc Ungar è tornato soltanto dopo la fine del comunismo: oggi è il suo console onorario di Firenze.
Data recensione: 02/06/2020
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Giovanni Bogani