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Fu Maria Maddalena d’Austria, vedova di Cosimo II de’ Medici, a battezzarla, nel maggio 1624

Storia, arte, architettura e trasformazioni della reggia medicea del Poggio Imperiale. Un itinerario di «lunghissimo Rinascimento» fino alla nascita dell’Educandato e del suo mito

Fu Maria Maddalena d’Austria, vedova di Cosimo II de’ Medici, a battezzarla, nel maggio 1624, Villa Imperiale e la sua solenne magnificenza apparve da subito così integrata nel paesaggio che l’attributo fu mutuato dal poggio dove sorgeva, a un chilometro da Porta Romana, non lontano dal giardino di Boboli e da Palazzo Pitti, al termine di uno Stradone in lieve ascesa che le conferiva l’attrazione di una meta da scoprire. Quanto a passaggi di proprietà e interventi edilizi già ne aveva subiti un visibilio fino ad assumere l’assetto che oggi sfoggia. L’impianto planimetrico a U è il risultato di un progetto voluto da Pietro Leopoldo, che, tre giorni dopo aver messo piede nella capitale del Granducato, nel 1765, elesse l’Imperiale a sede e simbolo di un potere nuovo. E seguì di persona, con la pignoleria di un direttore dei lavori, la realizzazione del progetto elaborato da Niccolò Maria Gaspero Paoletti, fedele interprete della pacata razionalità d’una cultura che mirava a simmetrico rigore e distesa eleganza.
Capolavoro fu il vasto salone da ballo d’un bianco abbagliante, impreziosito da raffinatissimi stucchi. La trasformazione di un organismo nato come bellicoso fortilizio della potente famiglia dei Baroncelli e confiscato da Cosimo I per farne dono alla figlia Isabella, aveva comportato una progressiva riduzione della rigogliosa naturalità dei giardini e dei boschi che lo circondavano, ma senza distruggere un armonioso inserimento. Il definitivo disegno della facciata, concepito da Giuseppe Cacialli in periodo di Restaurazione, è «meno originale rispetto a quello proposto dal suo predecessore», l’attivissimo Pasquale Poccianti: eppure trasmette paradigmaticamente l’ambizione d’ordine allora in auge. Insomma ogni governo ha lasciato il segno sicché l’antologia di opere che si squaderna all’interno rimanda, talvolta per minimi dettagli, tendenze e propensioni di epoche e dinastie. A dire il vero il fine primo della volitiva Maria Maddalena era che il fascinoso complesso architettonico rimanesse in perpetuo a disposizione delle granduchesse d’Etruria. Il generoso desiderio non ha avuto un coerente seguito, ma non è inesatto dire che nella sostanza la Villa è stata, e a suo modo è, «uno spazio di potere femminile», una fiera rivendicazione di feconda differenza. L’agile libro che raccoglie i saggi di Andrea Ragazzini, Riccardo Spinelli e Elvira Valleri ed un ampio corredo illustrativo (La Villa di Poggio Imperiale. Una reggia fiorentina nel patrimonio Unesco, pp. 143, € 16, Edizioni Polistampa, Firenze 2018) ha la fluida scorrevolezza di un racconto e la puntualità di una cólta spiega.
Ragazzini enumera, passo dopo passo, le complicate vicende costruttive, giovandosi di tutte le fonti consultabili e Spinelli si occupa delle decorazioni e degli oggetti. Nello slargo antistante furono organizzati combattimenti militari e vivaci giostre, mondani balletti e riti religiosi, rappresentazioni teatrali e raffinati concerti: un pezzo di città. Tutto questo armeggiare, tramandato da scrupolose incisioni, ha lasciato un’eco. La fantasia di chi è spinto a immaginare lo sfarzoso passato è pungolata da testimonianze che dilatano il luogo avvolgendolo in un mitico alone. Olimpo o Paradiso? I soggetti classici di cicli pittorici si sgranano come in un poema ritmato in canti e son dedicati a deità pagane, a eroine bibliche, a sante e santi del repertorio cattolico in un’affollata contiguità. L’itinerario di per sé dimostra quanto sia appropriato il concetto di un «lunghissimo Rinascimento», chiuso dalle ottocentesche maniere neogotiche. Dal 1865 la Villa dismise la sua prosopopea e accolse l’Educandato statale SS. Annunziata in trasferimento dal Monastero nuovo di via della Scala. Si voltò pagina, ma serbando l’esclusiva vocazione femminile e riservando gli spazi opportuni ad una ristretta «élite mista», non solo aristocratica. Valleri sottolinea che l’attività programmata si distingueva per essere «una vistosa e virtuosa anomalia in un contesto nel quale il solo parlare di istruzione, oltre che di educazione delle fanciulle, appariva inusuale, se non quasi rivoluzionario». Pensare che a promuovere l’idea di strutturare in chiave laica e pubblica un’impresa che si rifaceva a illustri modelli europei, in particolare francesi, fu il marchese Gino Capponi, il «candido Gino » cui Leopardi indirizzò strali al veleno! Le privilegiate convittrici avevano in agenda «disciplina del corpo e della mente – ha sintetizzato Silvia Franchini –, istruzione e pratiche religiose, meccanismi di socializzazione, arti comportamentali, istruzione letteraria e scientifica, saperi ‘ornamentali’, attitudini utili alla gestione domestica». L’educandato si conquistò una fama straordinaria e pure i fiorentini, che all’inizio non l’avevano visto di buon occhio, gradatamente presero a considerarlo un’eredità da far vivere ad ogni costo. Mantenerlo soltanto per convittrici stabili si è rivelato ben presto uno spreco insopportabile. Così altre funzioni si sono via via aggiunte. Con le scuole annesse (comprensive anche di maschi) gravitano oggi sulla Villa quasi 600 alunni. Il regime di semiconvitto conta 518 unità. Le convittrici sono 79. Il tasso di cosmopolitismo è molto ridotto: 10 «poggioline» provengono dalla Cina, una dall’America del Sud. Quanti frequentano in veste di esterni i vari indirizzi liceali – non manca un liceo europeo – sanno di vivere un’esperienza unica. Il presidente del consiglio d’amministrazione Giorgio Fiorenza non nasconde ricorrenti difficoltà e intralci burocratici. All’ultimo numero del giornalino Il Poggio ha consegnato un grido di protesta alla Luigi XIV: «Noi siamo lo Stato!». È giusto che un monumento di tal rilevanza – museo non artificioso di sé – s’apra ai visitatori in fasce orarie più larghe dei rarefatti orari domenicali e che a descrivere autori e stili siano gruppi di studenti che lo abitano e lo amano. Lo scarto tra le potenzialità e ciò che è possibile tenere in piedi si è fatto vertiginoso. La dismisura preoccupa e entusiasma.
Data recensione: 25/04/2019
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Roberto Barzanti