Vincitore del premio «Giuseppe Giusti 2013» per l’opera prima, il volume qui recensito di Oscar Schiavone
Vincitore del premio «Giuseppe
Giusti 2013» per l’opera prima, il volume qui recensito di Oscar Schiavone si
pone come un rilevante punto d’arrivo dagli studî che solcano la letteratura in
rapporto all’arte. Sono invero molti i lavori che negli ultimi anni si sono
proposti di leggere in maniera globale autori indubbiamente attivi su più
fronti come Leonardo, il Bronzino o lo stesso Michelangelo, ma ciò che distingue
il lavoro dello Schiavone è la volontà di spiegare le ragioni a monte di un
particolare modo di fare arte, capace di esprimersi attraverso differenti
canali quali la poesia, la pittura, la scultura. Il tentativo si presenta fin
dalle prime pagine come originale e non privo di fascino; si tratta, infatti,
di entrare nell’universo mentale di Michelangelo per tentare d’indagarne il
pensiero pre-linguistico, l’idea che preesiste alle opere stesse e che, una
volta che l’artista abbia scelto il medium
attraverso cui realizzarle, le informa.
Lo Schiavone inserisce da subito la propria materia in un più ampio contesto,
quello del dibattito sulle arti che vide coinvolti tra Quattro e Cinquecento i
maggiori artisti e più grandi teorici, dall’Alberti al Castiglione e da
Leonardo allo stesso Michelangelo: si tratta di un quadro di riferimento entro
il quale anche la riflessione michelangiolesca va in concreto a iscriversi, pur
trascinando seco particolarità ed eccezionalità. Il viaggio dello studioso nel
mondo artistico del Buonarroti incomincia dunque dalla parola scritta, dal
tentativo di sondare le modalità con le quali l’artista ricorre nelle proprie
Rime a immagini, idee, problematiche e termini tratti dal mondo della pittura e
della scultura o che a esso si riferiscono. Nelle Rime stesse, i temi
maggiormente toccati risultano da subito quelli dell’amore e della creazione
artistica, trattati spesso con identici vocaboli, che Michelangelo desume da
una lettura personale e diretta del neoplatonismo: fra i numerosi componimenti
sui quali lo Schiavone si sofferma, e i molti esempî da lui fatti che
potrebbero esser qui pertinentemente citati, il sonetto I’ mi son caro assai piú ch’i’ non soglio – anteriore al 1546,
l’anno cui risale la sua autografa trascrizione in bella copia – instaura così
un limpido parallelismo fra l’artista e l’oggetto artistico (pietra, carta o
tela che sia) da un lato, l’amante e l’oggetto amato dall’altra. Tanto nel
ricercare, entro la poesia michelangiolesca, le molteplici “interferenze” della
lingua dell’arte e dello stesso suo concreto esercizio da parte del Buonarroti,
quanto nell’individuarle e nello sforzarsi d’enuclearne caratteri e
significato, lo Schiavone va così rilevando alcune principali linee di tendenza
nel contempo suddividendo il materiale raccolto in macrogruppi dei quali
svolgere poi subito una confacente analisi – al riguardo, si vedano a titolo
d’esempio, a pp. 77-83, i paragrafi dedicati a Tipologia delle metafore artistiche.
Ritagliatosi sul fondo un quadro alquanto preciso delle modalità di costruzione
poetica adottate da Michelangelo, lo Schiavone si volge ad affrontare la
compresenza fisica e materiale di parola e immagine nelle pagine manoscritte
del Buonarroti. Egli declina dapprima analiticamente i criterî secondo i quali
ha condotto la propria ricerca: anziché sulle opere pubbliche, ha focalizzato
l’attenzione sui fogli manoscritti, che per il solito mantengono un carattere
maggiormente intimo e privato; tra di essi, sono stati presi in esame soltanto
i fogli compresi nel corpus dei disegni allestito e curato, com’è noto, da
Charles de Tolnay, i.e. Károly von
Tolnai. Entro tali fogli manoscritti gli inserti figurativi possono essere pura
illustrazione della pa- rola o, al contrario, costituire l’informazione
principale, intorno alla quale la parola si configura alla stregua di mera
didascalia. Nei casi più felici, la corrispondenza tra parola e immagine è
talmente totalizzante da dar vita a un concetto unico, potenziato dall’unione
dei due mezzi espressivi. Lo Schiavone rileva e sottolinea allora l’importante
dato di fatto che fa sì che un terzo dei disegni del corpus contenga anche
scritte di mano del Buonarroti, laddove un quarto delle sue poesie autografe
compare su fogli disegnati – ciò che fornisce la reale cifra di come e quanto
quei due piani espressivi convivessero nel laboratorio michelangiolesco.
Indicizzare le tipologie d’intervento che si pongono sul confine tra parola e
immagine non appare cosa del tutto agevole; nonostante ciò, talune costanti
vengono a galla senza fatica, come la predilezione per i rebus solo abbozzati
su fogli di recupero, quasi per scherzo, che sfruttando l’immediatezza del
segno iconico diventano vero e proprio linguaggio universale. Parola e immagine
appaiono così, non soltanto di necessità influenzantesi vicendevolmente, ma
altresì concorrenti alla comprensione e alla datazione medesima l’una
dell’altra: allo studioso, il compito di sbrogliare le molteplici fila del
quadro composto dall’artista e poeta, mettendo a frutto le sollecitazioni di
carte che a una prima e superficiale considerazione rischiano d’apparire
disordinate e caotiche.
Il risultato più interessante e, nel contempo, il reale punto d’approdo
dell’indagine compiuta dallo Schiavone è l’esplicitazione di talune costanti
tematiche sviluppate da Michelangelo sia attraverso la parola che attraverso
l’immagine; tra di esse, meritano d’essere qui citate almeno la «fenomenologia
dell’incompiutezza» ravvisabile tanto nella produzione poetica quanto in quella
scultorea, e la vicinanza tra il movimento ritmico scelto in poesia e il
movimento corporeo adottato nell’opera visiva. Alla lettura delle dense pagine
del libro è palpabile lo sforzo compiuto dallo studioso nel trattare una
materia di per sé difficilissima da imbrigliare e in larga parte originale; va
dunque dato atto allo Schiavone, e ascritto senz’altro a suo merito, d’aver
affrontato temi fondamentali per chiunque si occupi di studî rinascimentali e
non solo, e d’aver nel contempo tentato d’inserire entro un discorso tradizionale
di storia della cultura e del pensiero anche una riflessione teorica più larga
e capace di trovare i proprî puntelli nell’indagine filosofica, estetica,
storico-artistica e di storia della fotografia – e la sovrabbondante
bibliografia citata nelle note o raccolta in calce al volume dà la misura di
quanto la sua ricerca si sia spinta oltre i consueti recinti della critica
quattro- e cinquecentesca.
Data recensione: 01/01/2016
Testata Giornalistica: Albertiana
Autore: Martina Mazzetti