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Stando alla più recente storiografia, la sperimentazione in Italia tra il 1882 e il 1891 dello scrutinio di lista, unita a un sensibile ampliamento dell’elettorato, oltre a non suscitare

Stando alla più recente storiografia, la sperimentazione in Italia tra il 1882 e il 1891 dello scrutinio di lista, unita a un sensibile ampliamento dell’elettorato, oltre a non suscitare un’autentica politicizzazione del paese e una moderna articolazione strutturale delle varie forze politiche, contro le aspettative della Sinistra di zanardelli e di Cairoli non riuscì neppure a conseguire un’effettiva democratizzazione della società italiana in grado di scalfire un sistema di potere di fatto cristallizzato. Falliti dopo la rivoluzione parlamentare del 1876 i propositi di un più radicale ricambio politico, il progetto di Depretis di una grande coalizione tra Sinistra moderata e Destra transigente riuscì a ricompattare i tradizionali detentori del potere sociale ed economico all’interno di larghe maggioranze parlamentari abilmente concepite come base più o meno stabile dell’apparato costituzionale italiano. Se il trasformismo depretisino incoraggiava la scomparsa delle vecchie formazioni storiche (Destra e Sinistra), le finalità conservatrici di questo progetto di governo puntavano nell’immediato ad arginare l’irrompere delle forze composite della democrazia radicale – che la nuova normativa elettorale avrebbe certo reso più competitive all’interno delle istituzioni rappresentative (area della rappresentanza) – escludendole dal novero delle forze legittimate a governare (area della legittimità). Anche in toscana, contro ogni speranza di ricambio politico, nel 1882 l’introduzione dello scrutinio di lista scontò le strategie conservatrici di Depretis e non riuscì a scalfire l’egemonia della vecchia Destra regionale, la quale, benché non più classe di governo, si compattò con la Sinistra al potere sul terreno comune della lotta alla democrazia radicale e pentarchica. Ciò, come posto in luce dagli studi di marco Sagrestani, ebbe evidenti ripercussioni anche sulle modalità del reclutamento politico e indi sulle campagne elettorali, le quali, a dispetto del sensibile aumento dell’elettorato, non riuscirono a spezzare le vecchie logiche notabilari e di patronage tipiche del sistema uninominale.
Lo studio attento e minuzioso che Silvio Balloni dedica per gli anni tra il 1880 e il 1890 alle campagne elettorali di Ippolito Niccolini, oltreché costituire una fondamentale integrazione alla biografia dell’importante personalità politica fiorentina, permette di confermare questo trend interpretativo, apportando altresì una serie di ulteriori elementi di riflessione. Soprattutto, l’analisi serrata dell’inedita corrispondenza elettorale di Ippolito – attinta dall’autore dall’archivio personale del Niccolini, ancora in fase di riordino – ha permesso a Balloni di approfondire sia la collocazione del personaggio nel quadro politico del tempo che i meccanismi di selezione del personale politico negli anni a cavallo tra uninominale e scrutinio di lista. Anzitutto, sul piano della fisionomia politico-ideologica, il liberalismo progressista che caratterizza Ippolito – in parte eredità del padre Lorenzo – emerge dal lavoro di Balloni sensibilmente rafforzato. Non per nulla, se nel 1882 all’atto della sua prima candidatura nel collegio di Firenze IV egli aderisce al programma trasformista di Depretis (d’altro canto, sia la lista liberal-progressista nella quale si colloca Ippolito che quella liberal-moderata capeggiata da Sidney Sonnino e poi risultata vincente si presentano indistintamente su posizioni filo-governative e prive peraltro di uno o più competitori di area democratico- radicale) al momento della sua prima elezione al Parlamento nel 1890 Niccolini, benché ancora ministeriale, presenta coloriture che evocano i lineamenti propri – scrive Balloni – «della corrente moderata della Pentarchia» e «dei settori della Sinistra costituzionale più critica nei confronti del trasformismo e dell’“unanimismo” di Crispi» (p. 111). La forte componente democratica di Ippolito, la fede nei valori dell’assistenzialismo laico e mutualistico, infine la tutela delle classi operaie e artigiane in quegli anni, peraltro, lo mettono in diretta comunicazione con esponenti di peso del radicalismo e del côté massonico fiorentino, che, come nel caso di Diego martelli, vedono in lui un punto di congiunzione attraverso il quale realizzare un «partito democratico di governo» (p. 65) che metta assieme la Sinistra riformista anti-trasformista e quei settori dell’Estrema allora disposti a superare la pregiudiziale istituzionale per guadagnarsi l’ingresso nell’area della rappresentanza. Se l’offerta del critico d’arte non viene raccolta da Ippolito, sul piano elettorale quest’ultimo può comunque beneficiare dell’appoggio di martelli, come pure del reticolo associativo operaista e mutualistico collegiale che egli stesso riesce abilmente a mobilitare in perfetta complementarietà, peraltro, con le leve affinate del più tradizionale network fondiario aristocratico, da lui sollecitato tra 1882 e 1890 sia attraverso le estese reti parentali che le maglie del proprio sistema di fattoria incentrato su Carmignano.
In tal senso, è grazie alla minuziosa analisi della corrispondenza e dei dati elettorali intelligentemente disaggregati dall’autore a livello dei singoli comuni componenti il collegio che le aporie dello scrutinio di lista emergono in tutta chiarezza, lasciando intravedere sui meccanismi di selezione politica il peso ancora schiacciante delle vecchie circoscrizioni uninominali, della proliferazione di cordate diversificate e della tendenza alla sovrapposizione delle liste (resa tecnicamente possibile dal panachage ma esasperata spesso dall’ambigua condotta di mediatori ed elettori) nonché di quel tatticismo ministeriale che, a discapito di stringenti considerazioni politiche, appoggia quei candidati filo-governativi con più probabilità di affermazione. Logica questa ben visibile nel 1890, quando Niccolini verrà eletto nel collegio di Firenze IV come unico esponente della Sinistra costituzionale all’interno di una quaterna moderata che annovera esponenti quali Carlo Ridolfi, Sidney Sonnino e Claudo Alli-Maccarani, la cui affermazione, peraltro, questa volta avviene senza che si riesca a concordare una lista ufficiale. Segno ulteriore, questo, del fallimento dei propositi di politicizzazione affidati in principio alla riforma elettorale del 1882.
Data recensione: 01/10/2017
Testata Giornalistica: Nuova Antologia
Autore: Francesco Fusi