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Simone Bartolini, cartografo presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze e appassionato di astronomia, affronta in maniera rigorosa e documentata un tema di grande interesse

Simone Bartolini, cartografo presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze e appassionato di astronomia, affronta in maniera rigorosa e documentata un tema di grande interesse che Bernardo Francesco Gianni, abate di San Miniato al Monte di Firenze, presenta come un’archeologia della luce. L’autore non è nuovo a certi interessi, come dimostrano i suoi precedenti lavori: I fori gnomonici di Egnazio Danti in Santa Maria Novella, del 2006; Gli strumenti astronomici di Egnazio Danti e la misura del tempo in Santa Maria Novella, del 2008; Sole e Simboli. Gli Zodiaci della Basilica di San Miniato al Monte e del Battistero di San Giovanni a Firenze, del 2013, tutti pubblicati da Polistampa.
In questo volume l’interesse di Simone Bartolini si sposata decisamente verso i simboli religiosi del Medioevo, in particolare quelli del mondo romanico che ne fu particolarmente ricco, perché attraverso le figure scolpite nei capitelli - e non solo su questi - delle chiese si comunicavano ai fedeli i messaggi divini. In altre parole si trattava di un linguaggio figurato, così come, in maniera più esplicita, faranno gli affreschi delle successive chiese degli Ordini Mendicanti, ma questo è un altro discorso. L’autore, come premessa a quello che tratterà di seguito, offre una ricca rassegna della simbologia presente nelle chiese romaniche toscane, ma non mancano utili richiami ai simboli cosmici, come il significato dei solstizi e lo zodiaco adattato ai concetti cristiani.
Il suo interesse primario è però rivolto ai simboli che possono scaturire dalla luce, i simboli cosmici, si potrebbe dire, resi leggibili da una sapiente posizione delle aperture nelle chiese, attraverso le quali, in determinati giorni dell’anno, i raggi del sole illuminano particolari punti interni dell’edificio. È ben noto che le chiese - nella campagna ciò è sempre possibile - sono ‘orientate’, cioè con l’abside rivolta a oriente verso l’origine della luce, più genericamente verso i luoghi delle vicende terrene del Cristo. Chi scrive, rilevando la pianta di tante chiese romaniche e il loro orientamento, sia pure con mezzi non raffinati, si era accorto come questo fosse assai variabile, tale da poter forse suffragare l’ipotesi del Nilssen, presa in considerazione dal Beigbender nel suo lavoro sui simboli, cioè che l’orientamento coincidesse col sorgere del sole nel giorno dedicato al santo titolare della chiesa. Che dire poi di quei casi in cui l’unica finestrella di un’abside semicircolare appare manifestamente disassata - mi viene in mente quella della cripta della chiesa vallombrosana di San Michele Arcangelo in Poggio San Donato a Siena, ma non è il solo caso - rispetto all’asse della navata: non si tratta certo di un errore di costruzione, ma nasconde un preciso significato. Nelle mie ricerche sull’architettura romanica, ho sempre avvertito la presenza di significati simbolici ma, pur rimanendone affascinato, devo ammettere di non essermi mai cimentato nel tentativo di approfondire l’argomento, per carenza di mezzi e di preparazione: ciò spiega il mio interesse per questo libro.
Bartolini nella sua ricerca si è mosso in una direzione precisa: indagare «sui possibili simbolismi solari e cosmologici che furono impiegati quali principi ispiratori nell’atto fondativo dell’edificio religioso», esaminando circa 380 chiese romaniche della Toscana, 44 delle quali sono presentate  con schede nel volume, suddivise per diocesi. La ricerca è stata così attenta da considerare anche gli errori causati dal calendario giuliano - in vigore  ancora nei secoli X-XII - sulla data dell’equinozio di primavera, e quindi della Pasqua: per esempio nella prima metà del’XI secolo la differenza col calendario attuale era di sei giorni. Questa differenza, si fa notare, causava un errore di qualche grado verso nord nel caso di un orientamento della chiesa sull’equinozio di primavera (Pasqua), mentre era impercettibile, essendo limitato a pochi primi, quando l’orientamento era sul solstizio di dicembre (Natale).
Simone Bartolini nel muoversi in una materia complessa, quale l’uso delle coordinate terrestri e celesti, ha dimostrato quella necessaria dimestichezza che di solito non è consueta allo storico dell’architettura. Questi non può che prendere atto dei risultati raggiunti, che costituiscono un punto fermo: tralasciando i bilanci numerici, emerge che solo poche chiese romaniche sono orientate in relazione ai solstizi, mentre le restanti sono orientate in rapporto alla Pasqua o, in misura un po’superiore con un generico orientamento a est-sudest.
L’autore giunge alla conclusione che «con la ricerca della luce dell’alba solare del giorno dell’equinozio, del solstizio invernale e dei giorni in cui può ricadere la Pasqua, risulta evidente il simbolismo solare associato alle chiese romaniche». Questa relazione degli edifici religiosi esaminati con la sfera celeste si è dimostrata indipendente dalle loro dimensioni, funzioni e consistenza architettonica.
Appare, dunque, innegabile la volontà del costruttore medievale di porre l’edificio religioso in relazione con la sfera celeste mediante riferimenti astronomici, utilizzando le aperture per guidare i raggi solari al suo interno. Ciò si può osservare nelle schede di chiese che si sono proposte nel libro, ma se in alcuni casi si può capire l’intenzione del costruttore - salvo non cadere nella banalità -, in altri si può al massimo prendere atto di un’intenzionalità, sebbene il significato rimanga oscuro. Il libro di Simone Bartolini costituisce, a mio avviso, sia un prezioso contributo conoscitivo di una materia troppo spesso trascurata, sia come repertorio di dati, similmente a quelli offerti da una ricognizione archeologica - archeologia della luce, è stato detto - che come tali attendono di essere interpretati.
Data recensione: 01/09/2017
Testata Giornalistica: Erba d’Arno
Autore: Italo Moretti