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Lelio Lagorio è stato ministro della Difesa dal 1980 al 1983, con i governi Cossiga, Forlani, Spadolini e Fanfani. Lagorio è stato il primo socialista alla Difesa, il primo italiano presidente

Lelio Lagorio è stato ministro della Difesa dal 1980 al 1983, con i governi Cossiga, Forlani, Spadolini e Fanfani. Lagorio è stato il primo socialista alla Difesa, il primo italiano presidente dei ministri della Difesa NATO, il primo ad aumentare il budget della Difesa. L’aumento dei finanziamenti, con il conseguente ammodernamento delle forze armate (armamenti ed efficenza), aveva raggiunto alcuni obiettivi, soprattutto quello di dare un maggior prestigio internazionale ad una politica estera più autorevole e autonoma nelle alleanze. Il ministero di Lagorio, con il suo socialismo tricolore, è stato una spinta propulsiva per la Difesa italiana, tanto da inaugurare un buon trand.Il 17 agosto del 1982 (governo Spadolini) Lagorio dette inizio alla la prima missione in Libano. Dell’attuale missione ci dice: «In Medioriente ci siamo stati negli anni Ottanta. E le cose andarono bene. Ma oggi ci sono dei "ma", parecchie cose preoccupano. La situazione nella regione è differente, differente è la motivazione politica della spedizione militare, differente è il contesto culturale in cui avvengono le scelte odierne. Che vanno a fare oggi in Libano i nostri soldati? A garantire solo una tregua, dato che le cause del conflitto non sono state rimosse e la guerra può riaccendersi in qualsiasi momento, mettendo a rischio i nostri uomini che non sono attrezzati per uno scontro. Lo dico anche in considerazione del fatto che l’ONU ha vietato al suo corpo di spedizione di usare la forza, quindi non si vede chi potrà mai costringere Hezbollah a disarmare e rinunciare al progetto di distruggere Israele».«L’incertezza e l’ambiguità della spedizione - prosegue Lagorio - non possono che essere foriere di grosse complicazioni. Nella prima missione in Libano avevamo un obiettivo chiaro: liberare le milizie di Arafat dall’assedio israeliano, proteggere i profughi palestinesi a Beirut e irrobustire l’autorità del legittimo governo libanese. E così fu per due anni, fino al momento in cui Hezbollah dette fuoco alle polveri e il Paese sprofondò nella guerra civile. Sul piano strettamente militare i nostri uomini innalzavano il tricolore e obbedivano al quartiere generale italiano di Roma. La catena di comando era scarna e funzionò. Oggi il comando supremo sta a New York nel palazzo dell’ONU, dove gli eterni compromessi e intrighi hanno sempre reso debolissima, lenta e incerta la mano militare delle Nazioni Unite». Secondo l’ex ministro della Difesa «non è una situazione rassicurante per i nostri soldati. Sono certo che gli Stati Maggiori italiani sono i primi a saperlo e confido che ne rendano edotto il ministro della Difesa in modo da evitare sorprese».«La decisione di promuovere la spedizione - osserva Lagorio - si presenta ambigua nei moventi: dare una lezione a Israele o difenderne l’integrità? Sarebbe bene sapere quale sarà quello che ispirerà la condotta del governo. La certezza sui fini della nostra missione è una condizione di sicurezza per i nostri soldati. In questa complessa situazione è piuttosto imbarazzante il trionfalismo di certi circoli governativi: "Siamo stati i primi", "Siamo finalmente protagonisti mondiali", ecc... A parte il provincialismo di tali proposizioni, restano due domande: "Primi" perché e "protagonisti" in nome di che? Se non c’è una politica che tiene le forze armate alla ribalta del Paese, ne rafforza le strutture e la capacità di lotta? In attesa di uno showdown fra le tesi contrapposte, prevale il "buonismo", prevalgono cioè le dichiarazioni di buona volontà, ma - si sa - le buone intenzioni lastricano le vie dell’inferno. Se c’è solo il "buonismo" a ispirarci, noi scherziamo col fuoco».«Siamo certi - conclude Lagorio - che i nostri soldati faranno bene. E auguriamo a tutti di farcela. Ma sarebbe assurdo nasconderci che la Difesa italiana, ridotta ormai al lumicino, misera cenerentola del governo, non è in grado di sopportare in modo adeguato uno sforzo prolungato. Duole che un Paese si addossi delle responsabilità militari in campo internazionale senza disporre delle risorse necessarie per poterle affrontare con sicurezza. C’era un’alternativa alle scelte del governo? Sì. Non era indispensabile fare i primi della classe, bastava assecondare l’ONU e partecipare alla sua spedizione con un contingente militare poco esposto, mostrare bandiera in modo simbolico per ribadire la nostra solidarietà. Gran Bretagna e Germania, che non sono Nazioni da poco in Europa, si sono comportate così. E se si voleva marcare una ripresa di protagonismo italiano, benissimo, molta iniziativa politica e servizi di intelligence, senza dimenticare che in questo caso bisognava dare importanza ad una ripresa della nostra capacità militare. In campo internazionale, senza forza non c’è politica».Laura Lodigiani Molte notizie sulla spedizione del 1982 si possono trovare nel recente libro di Lelio Lagorio «L’ora di Austerlitz. 1980 la svolta che mutò l’Italia» (Edizioni Polistampa)
Data recensione: 12/09/2006
Testata Giornalistica: Ragionpolitica.it
Autore: Laura Lodigiani