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Il tempo di un ritratto può durare una vita, se al pittore non basta riprodurre la superficie di un volto. E certi volti mai visti possono essere i più intimamente conosciuti, se a restituirne i

Il tempo di un ritratto può durare una vita, se al pittore non basta riprodurre la superficie di un volto. E certi volti mai visti possono essere i più intimamente conosciuti, se a restituirne i contorni è l’anima delle persone a cui sono appartenuti. Il miracolo di queste presenze filtrate dall’interiorità si verifica di fronte ad ogni opera di Autobiografia della memoria , la mostra di Manfredi organizzata da Eventi Pagliai, alla vigilia degli ottant’anni dell’artista fiorentino, con il sostegno dell’Archivio di Stato di Firenze e del Gabinetto Viesseux e inaugurata ieri nello spazio espositivo dell’Archivio di Stato, dove resterà fino al 1 ottobre (10-19, domenica 10-13; ingresso libero).
Nessuno dei trenta personaggi ritratti da Manfredi ha mai posato neppure per un minuto di fronte a lui, ma è come se ciascuno di loro si fosse seduto ogni sera alla sua tavola per tutti gli anni che occorrono a compiere una formazione intellettuale. E adesso ritornano, vivi nello sguardo della memoria, intatti nella venerazione e nella conoscenza: Bach, Pessoa, Kafka, Cechov e i romanzieri russi dell’Ottocento, Rimbaud sfolgorante di colori e giovinezza, lo sguardo da uccello di D’Annunzio, Brahms e Puccini, Camus e Garcia Lorca, Nietzsche e un giovane guerriero georgiano, nome di battaglia Kobe, che qualche anno più tardi sarebbe diventato Stalin. Sotto questa costellazione è cresciuto e maturato Manfredi, antico fra i moderni, fondatore negli anni Sessanta del gruppo «Nuova Corrente» insieme a Xavier Bueno e Piero Tredici e da sempre convinto che la soggezione al modernismo «ci derubava dell’unica cosa che poteva appartenerci veramente: la nostra verità, che è abbastanza semplice: il mondo visibile esiste».
Questa Autobiografia della memoria non fa che confermare la sua fedeltà al reale, la moralità del suo sguardo, la sua distanza signorilmente polemica nei confronti dell’arte come estetismo, narcisismo e consumo. Ciascuno dei trenta ritratti esposti è un distillato di esperienza, l’approdo di un lungo cammino condiviso con gli scrittori, i musicisti, gli intellettuali amati. Non è un caso che al centro di questa autobiografia indiretta campeggi la figura di Gabriella Reggio, la madre di Manfredi: «È stata lei a farmi conoscere D’Annunzio, Nietzsche, Dostoevskij. Lei, allieva di Carena, mi ha iniziato a tutto, anche alla pittura». Questo svelare la parte più intima di sé attraverso gli altri è reso ancora più esplicito dal volume che accompagna la mostra, Manfredi. Ritratti e aforismi (Polistampa), e che insieme alle riproduzioni delle opere contiene pensieri e parole di Manfredi e dei compagni di strada a cui l’artista fiorentino ha restituito un volto, consegnati «agli anni e agli uomini di domani come un vecchio avaro lascia a malincuore il proprio tesoro, posto in un sacchetto».
Data recensione: 09/09/2006
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Beatrice Manetti