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L’Archivio di Stato di Firenze ha promosso, a cavallo tra il 2016 e il 2017, una grande mostra sull’Arno con una scelta delle date non certo casuale ma riferita al dramma

L’Archivio di Stato di Firenze ha promosso, a cavallo tra il 2016 e il 2017, una grande mostra sull’Arno con una scelta delle date non certo casuale ma riferita al dramma che Firenze visse con l’alluvione di cinquant’anni fa. Il «fiumicel che nasce in Falterona» uscì dagli argini e non era la prima volta, si trattava invece del ripetersi di episodi già visti a partire dal 1177, anno della prima grande alluvione come si può leggere all’inizio del volume curato da Loredana Maccabruni e Carla Zarrilli che, assieme a Piero Marchi, si sono occupate del coordinamento generale della mostra.
Attorno al 59 a.C. le truppe romane notarono un luogo dove guadare il fiume era piuttosto agevole: lì si accamparono e lì nacque il primo nucleo di quella che sarebbe poi diventata una fiorente città con un rapporto strettissimo con l’Arno. Firenze all’inizio dell’XI secolo si era già disposta su entrambe le rive. Pescaie e traverse, mulini e gualchiere: la tecnologia idraulica si faceva sempre più raffinata con scienziati (anche Galileo e la scuola galileiana) e ingegneri che dirigevano i lavori necessari a consentire alla città di sfruttare al meglio quell’energia delle acque che tanto avrebbe contribuito allo sviluppo dell’industria della lana e a tutte le altre attività produttive. Prosperità dunque, ma dal recipiente che la divinità fluviale (il rilievo votivo del II secolo d.C., forse simbolo del primordiale culto dell’Arno, che si può ammirare in una delle prime fotografie che mostra questo libro ben sostenuto da un suggestivo corredo di immagini) tiene nella mano non sempre l’acqua scende in modo gentile, e questo accade soprattutto quando le ordinanze medicee contro i disboscamenti selvaggi nel corso a monte vengono disattese o quando (più tardi, siamo nel 1819 e chi scrive è Carraresi, esperto idraulico governativo) gli allarmi legati a scriteriati imprigionamenti in alvei non vengono ascoltati, pagine che – per inciso – ricordano il dissesto idrogeologico dell’Italia odierna. Dalla prosperità alla distruzione il passo può essere breve: nel XVI, il “secolo terribile” delle alluvioni, ben nove (dal 1508 al 1589) sono gli anni noti alle cronache del tempo per lutti e calamità legate alle acque fuori controllo, anni sovente registrati da quelle targhe di pietra che vediamo sui muri degli edifici fiorentini con una breve quanto inquietante linea a tramandare il livello raggiunto dall’Arno. Uso cominciato con la terribile alluvione del 1333: «di quatro di novembre giovedì / la nocte poi vegnendo ‘l venerdì / fu alta l’acqua d’Arno infino a qui». E un altro quattro novembre venne cinquant’anni fa con l’ultima sezione del volume (L’alluvione, le alluvioni, 1966-2011. L’Arno negli archivi) a ricordarci una città nel fango, tra angeli e voglia di ripartire.
Data recensione: 01/04/2017
Testata Giornalistica: Leggere:tutti
Autore: Federico Mussano