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Dopo i due preziosi volumi, Leon Battista Alberti Censimento dei Manoscritti, che hanno inaugurato la sezione « Strumenti » del progetto dell’Edizione Nazionale

Dopo i due preziosi volumi, Leon Battista Alberti Censimento dei Manoscritti, che hanno inaugurato la sezione « Strumenti » del progetto dell’Edizione Nazionale delle opere di Leon Battista Alberti la studiosa pubblica questa nuova edizione della redazione volgare del De Pictura restituito qui con il serio intento di sistematicità che caratterizza tutti i suoi lavori.
Nella Premessa, (pp. 37-58), Lucia Bertolini delinea l’importanza del trattato nell’ambito del percorso biografico e intellettuale dello stesso Alberti. La studiosa situa a ridosso del 1435 l’ideazione e la prima scrittura del De Pictura rinviando il lettore alla sua dimostrazione dell’anteriorità della stesura volgare del trattato stabilita su basi di filologia variantistica («Sulla precedenza della redazione volgare del De Pictura di Leon Battista Alberti», in Studi per Umberto Carpi. Un saluto da allievi e colleghi pisani, a cura di Marco Santagata e Alfredo Stussi, Pisa, Edizioni ETS, 2000, pp. 181-210). Ipotizzando la vicenda intellettuale all’origine della stesura dei primi tre libri del De familia, della Grammatichetta della lingua toscana, della redazione volgare del De Pictura, L. Bertolini vede in queste tre opere l’espressione di un « unico e solidale discorso » che l’Alberti rivolge all’insieme della comunità civile affrontando problematiche diverse. Le tre opere sarebbero quindi cronologicamente vicine e in quest’ambito il De pictura si configurerebbe come un’ulteriore testimonianza della volontà di Leon Battista Alberti il quale, giunto da poco a Firenze, intende rivolgersi con questi scritti a una larga fascia socio-culturale, non limitata ai soli letterati. Le tre opere animate da un fiducioso intento civile propongono, benché in termini e con finalità diverse, una rielaborazione di saperi antichi o di complesse conquiste scientifiche scevra da un’eccessiva astrattezza e messa al servizio della pratica e della morale in vista quindi della loro trasmissione. Questi tre scritti partecipano di un unico discorso destinato, come attesta la scelta linguistica, alla comunità civile nel suo insieme e nella sua diversità. Tale ricostruzione si avvera di primaria importanza per lo studio delle ragioni che presiedono alla scelta del volgare da parte dell’umanista per opere che «entrano in diretto dialogo con il tessuto sociale e civile di Firenze» (p. 40).
L. Bertolini osserva che, contrariamente al celebre De familia, nel De Pictura Leon Battista Alberti si esprime senza ricorrere ad altri portavoce, ciò che d’altronde non stupisce poichè si tratta di un trattato e non di un dialogo e obbedisce quindi a obiettivi e strategie divergenti; ciononostante l’autore indossa alternativamente, come provano molti passi posti strategicamente all’inizio o alla fine dei tre libri, le vesti del pittore o del teorico per rivolgersi ad altri pittori offrendo loro conoscenze tecnico-scientifiche fino ad allora estranee alle botteghe dove quest’ultimi operavano. Se nei libri II e III viene delineata la figura del pittore «dotto» di evidente ispirazione autobiografica, L. Bertolini afferma la necessità di scongiurare l’ipotesi fuorviante di un De Pictura nato in ambito umanistico e destinato unicamente ad una fruizione colta. Tale interpretazione riduce in effetti la carica innovativa di questo testo la quale risiede nella geniale armonia tra erudizione e pratica che si realizza nelle sue pagine e che Alberti investe di particolare pregnanza trasferendovi una dimensione autorappresentativa.
L’Introduzione (pp. 61-176) comprende diverse sezioni. La prima è dedicata alla accurata descrizione dei manoscritti, (pp. 61- 71) e delle edizioni (pp. 73-78). Sono tre i testimoni manoscritti che hanno trasmesso la versione volgare del De Pictura : F1, ( Firenze Biblioteca Nazionale Centrale, II. IV. 38) ; P, (Paris Bibliothèque Nationale de France, It. 1692) ; V (Verona, Biblioteca Capitolare, CCLXXIII). La descrizione dei codici comporta una ricostituzione della loro circolazione ed è seguita da osservazioni linguistiche che permettono di identificare l’origine geografica del copista. Per ognuna delle edizioni del trattato Lucia Bertolini riassume i criteri adottati dal curatore e segnala le loro particolarità. La studiosa insiste sui meriti dell’edizione di Cecil Grayson che per primo rese conto di tutta la tradizione manoscritta, stabilì il testo adottando criteri filologici moderni e recuperò la Dimostrazione dell’operare congiunto della distanza e del raggio centrico, che è nuovamente pubblicata in Appendice di questa nuova edizione del De Pictura con il commento e la ricostituzione grafica di Filippo Camerota. Dopo il 1975, il testo latino del trattato albertiano ha conosciuto diverse ristampe mentre la versione in lingua volgare è rimasta relativamente in ombra. L. Bertolini si interroga sulle ragioni del poco interesse suscitato dalla versione volgare, rinato invece in quest’ultimo decennio. La studiosa le individua in un probabile « residuo di internazionalismo » del latino (p. 77) e nel fatto che si tratta di una lingua classica più chiara ed esplicita per gli studiosi di storia dell’arte. A queste ragioni se ne affiancherebbe un’altra legata all’ipotesi avanzata da Cecil Grayson riguardo all’anteriorità della redazione latina che Alberti avrebbe rapidamente tradotta pur continuando a limarla e a correggerla. Secondo L. Bertolini questa ipotesi potrebbe aver contribuito a relegare la versione volgare del De Pictura ad un ruolo prettamente utilitaristico ad uso degli artisti che non avevano accesso al testo latino redatto invece al servizio di un pubblico di eruditi umanisti.
Una seconda sezione è riservata alla Discussione delle testimonianze manoscritte (pp. 79-162). Il manoscritto di Firenze, F1, che Paola Massalin ha dimostrato essere stato copiato da Lorenzo Vettori, è l’unico testimone ad aver conservato la lettera proemiale al Brunelleschi. Il testo del De pictura contenuto in F1 è un idiografo, probabilmente realizzato per volontà dello stesso Alberti e sotto il suo controllo anche se non reca nessun intervento di sua mano. Questa ragione e la qualità del testo trascritto in F1 rispetto a P e V, fanno del codice fiorentino una guida e un fondamento. L. Bertolini emenda comunque una decina di errori oltre ai cinquanta circa già corretti da Cecil Grayson. I diversi emendamenti sono minuziosamente segnalati e commentati tramite il confronto di F1 con P e V, e/o con il testo latino, o ancora sulla base della prassi scrittoria dell’Alberti. La studiosa, dopo aver proposto uno stemma codicum che separa da un lato F1 e dall’altro, a partire da un antigrafo comune, V e P, spiega le differenze tra questi ultimi due codici. Ipotizzando un primo stemma, un secondo e poi un terzo considerato in fine soddisfacente, L. Bertolini esclude l’esistenza di un archetipo e suggerisce invece quella di un « autografo in movimento » sul quale l’Alberti avrebbe continuato a lavorare mentre già i copisti stavano riproducendo il testo (pp. 86-104). Una serie di tavole (pp. 112-134) è dedicata all’analisi delle « varianti adiafore » esistenti tra i vari testimoni. Uno dei grandi meriti di questa edizione consiste appunto in un esame, non effettuato prima, che permette di attribuire le varianti all’autore o al copista con conseguenze spesso rilevanti rispetto all’esegesi del testo. La studiosa individua tre categorie di «varianti adiafore» : quelle inerenti all’inversione nell’ordine delle parole, quelle lessicali o sintattiche e infine quelle dovute ad « assenze ». La loro analisi porta L. Bertolini ad isolare ed a identificare un usus scribendi dell’autore che viene a confermare la sua profonda conoscenza della lingua e dello stile dell’Alberti i quali risentono della pressione e dell’attrazione esercitate dal latino sul volgare. L’altro risultato dell’attenta disamina delle varianti permette a L. Bertolini di determinare la posteriorità di P rispetto a V e dunque di affermare che il codice Parigino ha usufruito di un’elaborazione dell’antigrafo più avanzata. Questo giustifica la posizione intermedia di P rispetto ai tre testimoni ed anche alcune delle differenze con V.
Conseguentemente alla collazione dei tre testimoni, all’analisi e alla discussione delle varianti la studiosa ha potuto rintracciare la storia elaborativa del De Pictura volgare e accrescere la conoscenza della complessa articolazione della prassi scrittoria dell’Alberti che dopo una prima rapida stesura sottoponeva spesso i suoi scritti ad un lungo labor limae. Inoltre la collazione ha confermato l’affidabilità di F1. Il codice fiorentino rappresenta l’ultima fase del processo di redazione della versione volgare del trattato e, elemento essenziale per valutare l’importanza delle scelte linguistiche albertiane, la fase iniziale della successiva redazione latina.
I Criteri di edizione (pp. 163-176) minuziosamente esposti chiariscono le scelte della presentazione dell’edizione critica. Questa prende a testo il codice fiorentino F1, accompagnandolo con due fasce d’apparato : «redazionale», nel quale vengono segnalate le varianti che ipotizzano una fase antecedente a quella accolta nell’edizione ; «di tradizione» nel quale si registra la varia lectio dei tre testimoni. Infine un censimento delle varianti intende segnalare quelle più o meno esplicitamente evocate nel testo senza però costituirne un commento per il quale L. Bertolini rinvia ad un prossimo volume che prenderà in considerazione sia il testo volgare che quello latino. La sezione che accoglie i Criteri di edizione si chiude con un ricco resoconto delle strategie restitutive di carattere grafico, linguistico e sostanziale.
Nelle Note critiche (pp.177-199) sono esposte e argomentate le ragioni delle scelte restitutive di singoli luoghi critici. Di grande rilevanza un ricchissimo Commento linguistico (pp. 327-428) molto efficacemente supportato da un Indice linguistico posto in fine volume (pp. 453-461). Il Commento volto essenzialmente allo studio e alla discussione di problemi lessicali e sintattici si rivela prezioso per chiarire incertezze esegetiche, costituendo una minuziosa analisi della complessa prosa dell’Alberti.
Questa nuova edizione della redazione volgare del De Pictura, risultato di lunghi anni di ricerche, è destinata a diventare un imprescindibile strumento di lavoro per tutti gli studiosi di cose albertiane. Essa testimonia del grande rigore metodologico di L. Bertolini le cui competenze filologiche e la profonda conoscenza dell’opera e del pensiero dell’Alberti pervengono ad altissimi risultati nell’edizione critica del testo. La studiosa offre qui un bell’esempio di compenetrabilità tra la scientificità dell’indagine ecdoctica e una raffinata sensibilità letteraria.
Data recensione: 01/07/2015
Testata Giornalistica: Revue des études italiennes
Autore: Nella Bianchi