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Un ricco e coinvolgente numero monografico su Leonardo Sciascia celebra i 22 anni di vita de «il Portolano», pubblicato con l’editore «Polistampa». È una delle poche riviste

Un ricco e coinvolgente numero monografico su Leonardo Sciascia celebra i 22 anni di vita de «il Portolano», pubblicato con l’editore «Polistampa». È una delle poche riviste letterarie sopravvissute della stagione novecentesca (quella de «La Voce» di Prezzolini e Papini, del «Campo di Marte» di Gatto e Pratolini, del «Frontespizio» di Piero Bargellini e Giuseppe De Luca e di numerose altre), quando Firenze era una capitale culturale, non solo italiana. Gli inediti contributi di Giuseppe Traina, Arnaldo Bruni, Stefano Lanuzza, Gabriele Fichera, Elisabetta Bacchereti e Sergio Givone sullo scrittore siciliano, fanno capire perché, sotto la direzione di uno dei fondatori, Francesco Gurrieri, «il Portolano» con rigore accademico ed una sobria veste grafica (bandite le fotografie e ammessi solo il disegno e l’incisione) venga nell’era dell’on-line annoverato nella «Serie A» delle scienze filologico-letterarie, storicofilosofiche, come sancito dall’Agenzia nazionale di valutazione del Sistema universitario e della ricerca. Ora l’attenzione dei critici è concentrata su Sciascia, ma nella galleria dei monografici di questo importante periodico trimestrale dobbiamo iscrivere anche Gadda, Vittorini, Hemingway, Malaparte, Saba, Pound, Betocchi, Luzi, Quasimodo, Baldacci, Parronchi, Quinto Martini, Alessandro Bonsanti, Sartre, Strati, Cases, Magris, Meneghello, Gherardini. Per non parlare delle numerose incursioni nella letteratura europea; sugli scrittori della «giovane Germania», su quelli della «Globish Literature» inglese e sulle pagine dedicate alla poesia in Italia. Molto apprezzati anche i contributi sulla «narrativa sociale» nel secondo Novecento, in particolare a Pasolini. La storia de «il Portolano» parla da sé, con scritti e testimonianze ricercati, al pari delle perle preziose, dagli amanti della letteratura come espressione di libertà. Allora sarà il caso di ricordare che tra i collaboratori vi sono stati o vi sono Sergio Givone, Giuseppe Bevilacqua, Claudio Magris, Ferruccio Masini, Enzo Siciliano, Alessandro Parronchi, Sandro Veronesi, Giorgio Luti, Mario Luzi, Sauro Albisani, Luigi Baldacci, Enrico Ghidetti, Marco Marchi, Maria Fancelli, Ernestina Pellegrini, Giuseppe Nicoletti, Anna Dolfi, Renzo Gherardini, Marco Fagioli, Mario Materassi, Stefano Lanuzza, Giovanna Mochi, Gloria Manghetti ed altri. Ma veniamo all’oggi. Soffermiamoci su questa esplorazione di Leonardo Sciascia e della sua visione illuministica. Nell’editoriale Francesco Gurrieri, evocandone le contraddizioni e citando l’orazione funebre dell’amico Gesualdo Bufalino, offre un distillato dell’impegno etico che ne caratterizzò tutta la vita, che lo rese insofferente a molti, adagiati sul «quieta non movere et mota quietare». Insofferente perché voleva che emergessero altri valori: la ricerca della verità e la lotta alle ingiustizie, alle imposture ed alle mistificazioni. Mentre Giuseppe Traina, parlando del suo laico «credo» e dell’indubbio «scetticismo della ragione», passa in rassegna tutti gli eroi dello scrittore di Racalmuto, gli «eroi della sconfitta della legalità». Personaggi battuti sul piano della storia, ma nobilmente vincitori su quello morale. Esauriente la ricostruzione che Stefano Lanuzza fa della polemiche innestate dal 10 gennaio 1987 nelle pagine culturali del «Corriere della Sera» sui cosiddetti «Professionisti dell’antimafia». Articolo interpretato come un intenzionale attacco al giudice Paolo Borsellino; al quale, per l’esperienza maturata nelle indagini contro Cosa Nostra, il Csm aveva assegnato il posto di Procuratore della Repubblica a Marsala a scapito di un altro collega con maggior anzianità di servizio. Solo in un secondo momento Sciascia ammetterà che il magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio, poteva meritare più di chiunque altro l’ufficio accordatogli. Precisando che voleva solo denunciare il lo strapotere di un sistema giudiziario dell’incontrollata discrezionalità , del mandato di cattura «facile», della carcerazione preventiva, del ruolo spesso ambiguo e inattendibile dei cosiddetti pentiti». Per Lanuzza lo scrittore, «dalla parte del torto prima, grazie alla sua preveggente intelligenza, finisce per aver ragione dopo, ossia oggi: allorché vanno emergendo, oltre ai “professionisti del patto politica-mafia, i compromessi di uno Sato che, trattando con l’antistato mafioso tramite politicanti, ministri, apparati di sicurezza e militari felloni di Prima e Seconda Repubblica, si transustanzia in forma di mafia”». Con una Rassegna bibliografica ragionata sulla critica sciasciana (2013-2015) Gabriele Fichera affronta la questione della personalissima religiosità di Sciascia, «inquieta e contraddittoria»: religiosità - scriveva nel 1984 in «Todo modo» - significa vivere secondo la legge cristiana, mentre per lui Cristo era solo un personaggio. Per questo si discute ancora sul suo «ateismo religioso». A Dio ci riporta pure il filoso Sergio Givone, in una riflessione sul senso della morte oggi. Nella quale mette a confronto la storie ed il pensiero di due ebrei deportati ad Auschwitz come Jean Amery e Primo Levi, chiedendosi: «E Sciascia, lo scrittore che ha raccontato il male come pochi altri - sia il male che è nelle cose, nelle istituzioni, nelle forme del potere, sia il male che è nell’uomo - da che parte sta? Dalla parte di Amery o dalla parte di Levi? Dalla parte di chi crede che il male sia una specie di destino, e dunque non sia veramente male, ma cosa fra le cose e come tale si sottragga alla parola che pretende di interrogarlo (come potremmo interrogare le cose?) o dalla parte di chi è convinto che il male anzitutto abiti il cuore dell’uomo, e lì vada stanato? La risposta ce la dà lo stesso Sciascia. Commentando nel 1973 la manzoniana Storia della Colonna infame, scrive: “Più vicini che all’illuminista, ci sentiamo oggi al cattolico”». Altre volte però aveva fatto intendere il contrario.
Data recensione: 05/03/2017
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Antonio Lovascio