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C’erano dei momenti, rari, forse sarebbe dire rarefatti, in cui Venturino diceva «Mi manca il turchino». Era allora che la sua anima turbolenta si acquietava quasi fosse

C’erano dei momenti, rari, forse sarebbe dire rarefatti, in cui Venturino diceva «Mi manca il turchino». Era allora che la sua anima turbolenta si acquietava quasi fosse temporaneamente gratificato il suo anelito di trascendenza. Inizia da questa suggestione, che più giù proveremo a spiegare, la chiacchierata con Lucia Fiaschi, nipote e unica erede di Venturino Venturi. Lei racconta, noi ascoltiamo, e le sue parole sono un viatico privilegiato per la mostra che inaugura oggi a Villa Bardini - sarà visitabile sino al 26 febbraio - in cui sono esposti 54 olii su carta scelti tra quelli con cui il pittore e scultore di Loro Ciuffena interpretò a modo suo la Divina Commedia. Non da solo, però, perché quel progetto - datato 1984 e confluito in una splendida edizione illustrata dell’opera dantesca uscita per Pananti - lo fece in perenne dialogo con Mario Luzi. Il poeta, l’amico. Questione di affinità elettive tra i due. Insieme si confrontarono non solo con le terzine dantesche - Luzi le sceglieva, lui le trasformava in segni e colori - ma, come ci ricorda la nipote, «anche con la Via Crucis. Quando Luzi nel, ’99, fu invitato da Papa Wojtyla a ascrivere un testo per la processione del Venerdì Santo, lui chiese a Venturino di “offrire” per quell’occasione la sua Via Crucis (datata 1974 ndr.)». Spaccati di due esistenze in perenne dialogo - Luzi scrisse dei versi molto intensi sull’Atelier dell’amico. La loro relazione dice tanto sulla mostra. Entrambi ebbero nel poeta, non una guida, ma «la guida»: Venturino perché cresciuto fuori Italia - il padre era rifugiato politico- crebbe leggendo solamente due libri italiani Pinocchio e la Divina Commedia che il suo babbo recitava a memoria; Luzi perché fu sui versi di Dante che cesellò i suoi. Entrambi erano uomini di genio toscani. Entrambi erano dotati di un senso mistico profondo, di una religiosità ancestrale. Vederli insieme su a Villa Baldini è un belvedere. I 54 disegni, accompagnati dalle terzine scelte da Luzi sono lievi e umani: «Solo tre sono i colori che Venturino usò per questo viaggio all’Inferno, al Purgatorio, in Paradiso - ci suggerisce Lucia Fiaschi - il rosso, il nero e, appunto, il turchino». Rossi sono Paolo e Francesca (ben tre sono i disegni dedicati agli amanti), rosso è Farinata degli Uberti, prevalentemente rosso è l’Albero del bene e del male nel Purgatorio. Neri sono i tratti con cui Venturino disegna i santi (San Bernardo, San Tommaso). E poi quelle turchine, le sue tavole più belle. Una ritrae una stilnovistica Beatrice - la rivedremo nera quando, in Paradiso avrà il ruolo di madre e di guida - e turchino è il volto di Gesù.
Data recensione: 29/09/2016
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Chiara Dino