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Era un bel ragazzo, Dante Fangaresi , nel 1943: studente di Ingegneria al Politecnico di Milano, viveva con la madre mentre il padre, ufficiale dei Carabinieri, era prigioniero in Africa; era

Era un bel ragazzo, Dante Fangaresi , nel 1943: studente di Ingegneria al Politecnico di Milano, viveva con la madre mentre il padre, ufficiale dei Carabinieri, era prigioniero in Africa; era amorevolmente assistito da un’amante appassionata, un’affascinante signora che durante l’assenza del marito, anche lui in guerra, riversava il proprio affetto sul giovane e prestante studente. Non aveva proprio alcuna voglia di rispondere al richiamo di una Patria ormai allo sbando, dopo le ingloriose vicende succedutesi dal 25 luglio all’8 settembre 1943: il suo non era tanto un rifiuto politicamente motivato, quanto la voglia di vivere liberamente la propria giovinezza e di seguire gli studi. Ma in quegli anni la Storia non ammetteva il non-schieramento: quando i richiami per entrare nelle file dell’esercito della Rsi si fecero ordini perentori, riservando ai disertori la pena di morte, Dante fu costretto a scegliere: diffidente verso le «bande» partigiane in sospetto odore di comunismo, raggiunse una formazione anomala, il Battaglione Patrioti Davide, allora insediato nel castello piemontese di Venaria Reale. Il comandante Davide aveva ai propri ordini circa 270 ragazzi forniti di armi e divise ma sprovvisti di idee chiare: si trovavano in una posizione oltremodo ambigua, tollerati dai tedeschi, ostili ai repubblichini, ma non legati ai partigiani. La guerra di Dante inizia così, fra esercitazioni militari, senza un vero nemico, e il protagonista nonchè autore del libro «Dieci settimane a San Sabba» (Edizioni Polistampa, pagg. 140, euro 12,50) vi galleggia, novello Candide, sino a sprofondare, quasi inavvertitamente, in situazioni sempre più tragiche e compromettenti. Dante Fangaresi , classe 1923, scrive il proprio libro cinquant’anni dopo (la prima edizione, apparsa nel 1994, è andata esaurita), e il lettore può immaginare da quali bisogni sia nata la voglia di raccontare: fare i conti con la propria coscienza, che verosimilmente non cessava di porgli interrogativi, per presentarsi di fronte alla Storia in abiti puliti. Il libro è di rara onestà, mentre tenta di raccontare e chiarire le vicende del Battaglione Davide: quando la sua «neutralità» non fu più proponibile, i ragazzi dovettero lasciare il Piemonte per stabilirsi a Sagrado, ma ben presto vennero irreggimentati dai tedeschi e spediti alla Risiera di San Sabba: agli ordini delle Ss e sotto minaccia di morte divennero addetti alla sorveglianza dell’unico campo di sterminio operante in Italia. Fu il terrore instaurato con gelido cinismo dagli ufficiali tedeschi a paralizzare i sensi e le volontà di Dante e dei suoi commilitoni? Il Battaglione venne decimato con deportazioni e fucilazioni sommarie, qualsiasi sgarro al regolamento era punito con la morte. Lo strano fumo che si levava dal camino iniziava a destare i sospetti fra i soldati italiani «guardiani-prigionieri»: fra particolari agghiaccianti, il narratore ricorda lo strano sapore di un salame che qualcuno sospettò contenere pezzi di carne umana... Nelle dieci settimane trascorse in Risiera, Dante non matura una presa di coscienza politica: in lui cresce solo il desiderio di fuggire da quei gironi infernali, mentre le Ss aumentano le richieste, impiegando gli italiani anche in operazioni di rastrellamento e razzie, a Trieste e in Istria fino ad Abbazia. L’istinto di sopravvivenza insieme a una generosa dose di fortuna, coadiuvati dal fascino che Dante esercita sulle ragazze-ne trova ovunque di ben disposte ad aiutarlo-propiziano una fuga rocambolesca che lo riporta a casa. Dal luglio ’44 fino alla Liberazione, Dante rimane nascosto, mentre altri combattono per la propria e la sua libertà; nasconde anche la propria storia per mezzo secolo, ma pur tardive, le sue confessioni hanno un sapore sincero. Per chiarire i fatti, l’autore acclude una pianta della Risiera, alcuni estratti dal libro di Sergio Kostoris, avvocato di parte civile durante il processo tenutosi a Trieste nel 1976, oltre a commenti e critiche alla prima edizione. C’è ancora bisogno di testimonianze su un periodo le cui tenebre gravano tutt’oggi sul nostro presente.
Data recensione: 23/01/2004
Testata Giornalistica: Il Piccolo di Trieste
Autore: Katja Kralj