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Nessun dubbio: sono due grandi trascurati. Come succede sempre più spesso nella repubblica delle lettere. Parlo di Carlo Betocchi e Antonio Pizzuto, dei quali

Polistampa pubblica il carteggio curato da Teresa Spignoli
Due autori trascurati nella “repubblica delle lettere”
Nessun dubbio: sono due grandi trascurati. Come succede sempre più spesso nella repubblica delle lettere. Parlo di Carlo Betocchi e Antonio Pizzuto, dei quali Polistampa pubblica il carteggio, a cura di Teresa Spignoli, nella collana “Il Diaspro. Epistolari”, diretta da Saverio Orlando (pagg. 132, euro 15).
Carlo Betocchi nasce a Torino il 23 gennaio 1899. Bambino, si trasferisce a Firenze con la famiglia, al seguito del padre impiegato alle Ferrovie. Nel 1911 rimane orfano di padre. Studia diligentemente e diventa perito agrimensore. Frequenta la scuola ufficiali di Parma. Nel 1917 lo troviamo al fronte. Dal 1919 al 1920 è volontario in Libia. Poi, eccolo in Francia e nell’Italia del Nord. nel 1928 rientra a Firenze. Fa l’agrimensore, ma soprattutto è poeta. Dice: “La poesia è nata da sé, spontaneamente su un’onda d’amore per le cose che erano intorno a me e che sentivo fraterne e unite in uno stesso destino e in una stessa fine”. Collabora, con Piero Bargellini, al “Frontespizio”, rivista d’ispirazione cattolica. È di questo periodo la sua prima raccolta di versi: “Realtà vince il sogno”, edizioni del Frontespizio.
Lascia Firenze nel 1938 e vi ritorna nel 1953 per insegnare materie letterarie al Conservatorio “Luigi Cherubini”. Dal 1961 al 1977 è redattore della rivista “L’approdo letterario”.
Dice: “La mia poesia nasce dall’allegria. È allegria del conoscere, l’allegria dell’essere e del sapere accettare e del poter accettare”. Il suo carnet è ricco di raccolte: “Un passo, un altro passo”, “Notizie di prosa e di poesia”, “Un ponte sulla pianura”, “Poesie”, “Prime e ultimissime”, “Poesie del sabato”, “L’estate di San Martino”. Nel 1999 esce da Rizzoli “Poesie scelte e inediti”, a cura di Giorgio Tabanelli e interventi di Carlo Bo e Mario Luzi.
Betocchi muore vent’anni fa a Bordighera.
Considerato uno dei maggiori poeti italiani del Novecento. In lui - affermano alcuni critici - l’ansia d’illuminazione religiosa s’incontra con una tenace volontà di concretezza e di accettazione della realtà”.
E ancora: “Poeta cristiano e popolare, poeta degli affetti e della solidarietà con le creature, scabro, essenziale poeta delle cose, degli oggetti e dei paesaggi per balzare direttamente sul piano emozionale della voce e del canto, con il massimo, sempre, di controllo”.
E veniamo a Pizzuto. Polistampa, pubblicando “Signorina Rosina”, ha praticamente concluso la prima fase del “Progetto Pizzuto”, iniziato nel 1998 con il proposito - gran sostenitore Gianfranco Contini - “di restituire al comune commercio” l’opera di Antonio Pizzuto, giudicato il narratore più originale del Novecento.
Nel progetto sono entrati “Così”, romanzo inedito, e le prose “Ravenna”, “Paginette”, “Sul ponte di Avignone” e le monografie critiche “Il leggibile Pizzuto” di Antonio Pane e “Chi ha paura di Antonio Pizzuto” di Gualberto Alvino.
Pizzuto nasce il 14 maggio 1893 a Palermo. Si laurea in giurisprudenza ed entra nella pubblica amministrazione. Diventa vicequestore a Trento, poi questore a Bolzano e Arezzo. Infine, vicepresidente della Commissione internazionale di polizia criminale di Vienna.
Va in pensione nel 1950. E può dare sfogo alla sua grande passione: la scrittura. Che ha dato i suoi frutti a partire dal 1938, con la pubblicazione di “Sul ponte di Avignone” con lo pseudonimo di Heis.
Nel 1954, ormai libero da condizionamenti, dà alle stampe “La signorina Rosina”, seguita nel 1960 da “Si riparano bambole”, nel 1962 da “Ravenna”, considerata la sua opera più importante, e “Il triciclo”; nel 1964 da “Paginette”; nel 1966 da “Natalizia” e la “La bicicletta”; nel 1967 da “Vezzolanica” e “Nuove paginette”; nel 1973 da “Pagelle I”: nel 1975 da “Pagelle II” e “Giunte e virgole”. Muore a Roma il 23 novembre 1976, e, due anni dopo esce “Ultime e penultime”.
Per alcuni critici le sue opere sono ricche di citazioni colte e di novità lessicali, difficili, la sintassi nominale. Sono tali e tante da farlo considerare tra le voci più significative e temerarie dell’avanguardia italiana del Novecento. Una voce apprezzata dal filologo Gianfranco Contini.
Betocchi e Pizzuto s’incontrano per una vicenda editoriale, legata all’“Approdo letterario”: in particolare, alla pubblicazione di alcune pagine dello scrittore siciliano. Si tratta di 65 lettere, che vanno dal 1966 al 1971, chiosate da Teresa Spignoli con puntualità. Pizzuto conferma le sue scelte nella scrittura e Betocchi si rivela “un artigiano toscano, un intagliatore di cornici, un orafo, un ebanista”, come ebbe a dire Giovanni Roboni.
La lettura delle missive scambiate da questi due autori cvosì diversi è davvero godibile.
Data recensione: 31/07/2006
Testata Giornalistica: Il Corriere di Firenze
Autore: Riccardo Cardellicchio