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Immagini e ricordi, ma non solo. Anche avventure, personaggi e descrizioni. Il tutto racchiuso in 168 pagine, nel libro di Tito Barbini: "Le nuvole non chiedono permesso. Dalla Patagonia

ROMA\ aise\ - Immagini e ricordi, ma non solo. Anche avventure, personaggi e descrizioni. Il tutto racchiuso in 168 pagine, nel libro di Tito Barbini: "Le nuvole non chiedono permesso. Dalla Patagonia all’Alaska. Cento giorni a piedi e in corriera", edito da Polistampa (2006, 8.00 euro). In “Le nuvole non chiedono permesso”, l’autore, uomo politico di grandissima esperienza, nato a Cortona nel 1945, realizza un percorso fisico e metafisico, che intreccia presente e passato e lancia sguardi di speranza al futuro. Un tracciato ideale, che passa attraverso l’evento materiale per svilupparsi poi sul piano della memoria e della mente. E sono proprio la mente ed il pensiero umano i protagonisti del libro di Barbini, che fa del tema del viaggio il punto di partenza per parlare di altro. Si intrecciano, così, al tessuto narrativo del presente le esperienze politiche passate dell’autore, le sue delusioni e le sue aspettative.
Il volume si presenta allora come un vero e proprio diario di viaggio, inteso come momento di sospensione dalla vita quotidiana, un modo per ritrovare se stessi e riannodare i fili della propria memoria. Cento giorni di cammino, che hanno portato Barbini dalla Patagonia all’Alaska, passando per il Cile e la costa statunitense. In questo percorso, tante le realtà rappresentate e scoperte, in un America piena di contraddizioni, che svela bellezza e tragedia fuse insieme in un’unica realtà. L’autore prende fiato di fronte a paesaggi meravigliosi, e scopre, tuttavia, dietro di essi, situazioni storiche e politiche spesso tragiche, che svelano la crudeltà dell’uomo. Un viaggio allora che si propone anche come diario storico di un terra colma di misteri e contrasti. Dalle pagine di Barbini viene fuori “l’America delle madri di Plaza de Mayo, dei minatori boliviani, delle tante etnie indios, l’America che si sta aprendo a un’imprevista speranza di riscatto e giustizia”. Reportage, riflessione politica e indagine esistenziale: tutto questo è “Le nuvole non chiedono permesso”. Fulcro della narrazione di Barbini, “il grande viaggio”, inteso, secondo quanto scrive Paolo Ciampi nella prefazione al volume: non “una fuga, una parentesi, una distrazione. Niente di meno simile a una vacanza o a un pacchetto turistico tutto compreso. Perché l’America Latina di Tito è un Continente amato prima ancora che attraversato; un’immensa opportunità colta con la delicatezza e la leggerezza che appartiene solo ai grandi viaggiatori; un fascio di sensazioni di cui godere, lasciando il dovuto merito al caso; un generoso raccolto di suggestioni da mietere con l’arma più bella nelle stagioni del conformismo: la curiosità”.
È lo stesso Barbini a fornire al lettore la chiave di lettura per interpretare il senso del viaggio. In apertura del libro scrive: “In America andrò a caccia di tracce del passato, ma anche e soprattutto di speranze e nuove utopie. Cercherò. Cercherò, perché so che attraverso il passato e il presente di un continente può emergere anche il senso della mia storia e la possibilità di un futuro che non sia solo mio”. Ecco allora che il tema è proprio quello della ricerca, cruciale per l’esistenza umana. Ed è in questa ricerca che il microcosmo si apre al macrocosmo, che l’io si unisce al collettivo, alla storia. Ricerca storica dunque, ma anche, come detto, esistenziale. Lo svela l’autore qualche pagina più avanti: “viaggio per perdermi e per ritrovarmi. Forse alla ricerca di me stesso o forse per perdere quanto di me stesso non voglio più”.
E proprio il verbo “cercare” ed il termine “ricerca” tornano più volte nel libro: “devi cercare per cercarti. Cercare per ritrovarti e ripartire. Un viaggio può essere la soluzione: sempre che quel viaggio sia dentro di te non meno che fuori di te. Sempre che implichi anche uno sguardo diverso”. Tantissimi, d’altronde, i tentavi da parte dell’autore di dare un senso ed una definizione al viaggio, che dimostra così la sua importanza crescente: “Il viaggio se è vero viaggio, ti mette a nudo. Prima di proiettarti verso un altro mondo fuori di te e ti consente di guardarti dentro e di ripercorrere la tua esperienza”; “un viaggio ti consente di tentare bilanci, di riconquistare prospettive. Ti dà il modo di comprendere il senso delle tue giornate, il loro effettivo valore”; “un viaggio che ti porta lontano, magari in un Paese fatto di distanze, di incontri rarefatti, di silenzi, un viaggio come la Patagonia, o come il deserto di Atacama, ti aiuta a riordinare le priorità della vita, di tutta la tua vita”.
E il viaggio non finisce. Il libro nella sua conclusione resta aperto a nuovi orizzonti: il viaggio della vita che non può finire qui. Così, dopo il bilancio: “ho fatto migliaia di chilometri per arrivare al luogo più lontano e più vicino, quel luogo la cui geografia immaginaria è disegnata ogni giorno dalla mia testa e dal mio cuore. Ora ci sono. Sono a casa”, la decisione a proseguire la ricerca: “a casa non per rinchiudermi dentro, ma per ripartire. A casa, con il cuore e con la testa per un nuovo impegno, fatto di cose vere, di legami, di condivisioni. Mi rimetterò in cammino”.
Data recensione: 27/07/2006
Testata Giornalistica: AISE
Autore: Stefania Del Ferraro