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Se è vero che la bellezza ci obbliga a non essere banali, ogni tanto anche qualche libro ci dà una mano: è il caso di questo bellissimo «L’arte di fabbricare gli zoccoli»

Se è vero che la bellezza ci obbliga a non essere banali, ogni tanto anche qualche libro ci dà una mano: è il caso di questo bellissimo «L’arte di fabbricare gli zoccoli» (editore Polistampa) che ho letto da cima a fondo con la passione del romanzesco e la pazienza del divulgativo.
Un libro curioso e originale per alcuni versi. Ne è autore infatti non un eccellente ciabattino ma un prestigioso ordinario universitario di Agrometeorologia e Climatologia dell’Università di Firenze, il Professor Giampiero Maracchi, non a caso anche consigliere della Fondazione per l’Artigianato Artistico. Un altro motivo di interesse è che non si tratta di un saggio di riflessione critica ma di un accuratissimo manuale (di quelli che un tempo splendidamente pubblicava Hoepli e di cui l’Italia, ancora gentiliana, avrebbe assoluto bisogno) che spiega come e qualmente si costruiscono diversi tipi di zoccoli.
Naturalmente la parte didattica, opportunamente e riccamente illustrata, è inquadrata in una esauriente cornice storica che degli zoccoli, ab antiquo, racconta vita e miracoli. Da notare che dopo aver servito per millenni sotto ogni cielo, ma meglio si direbbe sopra ogni terra, gli zoccoli, dopo la seconda guerra mondiale, persero la simpatia collettiva in quanto emblema di una calzatura legata a epoche di sacrifici e di miseria. Oggi invece l’autore, ferratissimo (e anche possessore di una ricca collezione), ci garantisce che vi è una ripresa di interesse verso lo zoccolo anche da parte dei giovani. Ma non per lo zoccolo costruito con materiali artificiali, bensì quello più naturaliter di legno e cuoio.

Un’altra curiosa contraddizione zoccolesca è che se da un lato lo zoccolo rende il passo più rumoroso e talvolta costringe il piede a portarselo dietro, esso è igienico e liberatorio e oggi particolarmente usato vuoi nel mondo ospedaliero (per una questione di igiene) vuoi nelle stagioni vacanziere al mare come simbolo di una libertà che si sposa da sempre agli arenili e all’acqua. Il libro, vero manuale per la fabbricazione degli zoccoli, ci ricorda che il nome zoccolo deriva probabilmente da una calzatura romana portata dagli attori del teatro, ancorché invece sia più simile alla calzatura dell’antico esercito romano (zoccoli armati di lunghi chiodi sulla suola per far presa al terreno di battaglia). Di zoccoli oltre che nella vastità dei tempi, s’è fatto e si fa uso in uno spazio planetario: dalla Siria, all’Asia Minore, all’estremo Oriente. Proprio dall’Asia Minore lo zoccolo probabilmente giunse a Venezia (prendendo il nome delle "copine"), calzatura con altissime zeppe a suo tempo indossate dalle cortigiane.
Se la "geta" giapponese, infradito, richiede anche calze con un dito a parte per il pollice, in altri paesi asiatici questa calzatura è realizzata con la paglia di riso. Molto usato nei paesi nordeuropei e genericamente in montagna (dove ancora ve ne sono rari costruttori) lo zoccolo è, ognun sa, addirittura il simbolo dell’Olanda, là usatissimo per le terre basse dove l’acqua ristagnava. Dello zoccolo sono consorelle calzature domestiche come la pianella e la pantofola.
Detto il bene possibile del «L’arte di fabbricare gli zoccoli» resta inteso che qualche dopocena, rubato alle banalità televisive, potrebbe essere impiegato in un bricolage che ci affratella nel tempo e nello spazio con tutti gli uomini che camminano.
Data recensione: 12/03/2005
Testata Giornalistica: Il Giornale della Toscana
Autore: Pier Francesco Listri