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Era un bel po’ che non si sentiva parlare di Gregorio Sciltian, pittore di origine armena (era nato a Rostov nel 1900) che in fuga dalla terra natale in seguito ai rivolgimenti

Firenze celebra il pittore con un percorso fra olii, bozzetti, disegni, figurini teatrali e litografie

Era un bel po’ che non si sentiva parlare di Gregorio Sciltian, pittore di origine armena (era nato a Rostov nel 1900) che in fuga dalla terra natale in seguito ai rivolgimenti della rivoluzione bolscevica, giunse in Italia nel 1923 dove visse e operò fino alla morte nel 1985.
Ora, nel trentennale della scomparsa, una mostra, “L’illusione di Sciltian. Inganni pittorici alla prova della modernità”, a cura di Stefano Sbarbaro, inaugurata nei giorni scorsi a Villa Bardini per iniziativa dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, colma la lacuna. E attraverso un percorso di più di cento pezzi, fra olii, bozzetti, disegni, figurini teatrali, litografie, opere grafiche, recupera il personalissimo estro “visivo” di un artista che, lontano da ogni problematica avanguardistica, tacciato di esasperato quanto vacuo realismo per la sua ottica analitica, di tipo fotografico, che sfiora spesso gli effetti del trompe-l’oeil, restò ai margini del dibattito culturale del dopoguerra, finendo ben presto dimenticato (l’ultima retrospettiva risale al 1986 al Palazzo dei Diamanti a Ferrara).
Ma non fu sempre così. Perché agli inizi, Sciltian che esporrà con successo a Roma e alla Biennale, ma anche a Parigi, Bruxelles, Londra, New York, ricevette lusinghieri apprezzamenti, fra gli altri, da Roberto Longhi, Giò Ponti, Ugo Ojetti, lo stesso De Chirico e Carrà.
Attratto soprattutto dalla pittura caravaggesca, che studia accanitamente nei musei e gallerie italiane, Sciltian resta una delle figure più affascinanti e discusse del panorama culturale italiano del Novecento, come testimonia nel 1945 l’adesione, con Annigoni e i fratelli Bueno, al gruppo “Pittori moderni della realtà”, di cui fu il principale promotore e al tempo stesso ideologo.
La mostra di Villa Bardini, ne ripercorre l’intera vicenda che si sviluppa lungo un arco temporale di oltre 60 anni, grazie anche a prestiti significativi, in molti casi inediti, provenienti da un collezionismo trasversale che unisce importanti raccolte e piccoli giacimenti privati. Accanto alle opere pittoriche, un corredo di fotografie, documenti, lettere, testimonianze su giornali e riviste, più una serie di oggetti provenienti dall’atelier dell’artista, concorre a ricollocare nel suo tempo, e nel suo alveo creativo, l’opera di Sciltian, grazie anche al confronto con autori selezionati per affinità (Alfredo Serri, i Bueno, Carlo Guarienti) o per contrasto stilistico (Renato Guttuso, Aligi Sassu, Mimmo Rotella). La pittura di Sciltian, strumento di contemplazione e sublimazione della natura, con la sua tecnica “arcifinita” e lenticolare, diventa una enigmatica finestra sul mondo, e l’implacabile realismo che la caratterizza una verità contraddittoria e ingannevole. Un rebus apparentemente facile, che si muove oltre le apparenze, fra nature morte e ritratti (su tutti figure femminili, disinibite e sensuali) come dentro le lenti mutanti e i riflessi di un caleidoscopio: un “mondo” di cui, con stupefacente abilità tecnica, si appropria l’indagine di Sciltian.
Data recensione: 08/04/2015
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: Gabriele Rizza