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Giornalisti eclettici e completi come Sergio Di Battista sono ormai in via di estinzione. Merce rara, introvabile nelle redazioni di oggi

Giornalisti eclettici e completi come Sergio Di Battista sono ormai in via di estinzione. Merce rara, introvabile nelle redazioni di oggi. Un pozzo di scienza e conoscenze, in grado di operare un po’ in tutti i settori di un quotidiano, di dare tranquillità e mettere a proprio agio i più giovani colleghi e collaboratori. Dotato di una penna raffinata e di una mano felicissima, che gli ha permesso di primeggiare anche nella grafica, nel disegnare sul menabò l’impaginazione del giornale. Di farlo, smontarlo ed aggiornarlo nel giro di pochi minuti, di fronte ad eventi imprevedibili e scioccanti come i delitti del Mostro, gli agguati di Prima Linea e delle Br, la guerra del Golfo, lo sgretolamento dell’Urss e la caduta del Muro di Berlino. L’ho toccato con mano negli anni in cui abbiamo lavorato insieme all’Ufficio centrale de «La Nazione», lui caporedattore in primis, con un’autorevolezza pari a quella di chi l’aveva preceduto in quell’incarico (Aurelio Scelba) e degli stessi direttori, si chiamassero Piero Magi, Tino Neirotti, Roberto Ciuni, Arrigo Petacco, Roberto Gelmini, Gabriele Canè. Ottant’anni tondi (è nato a Pesaro nel 1934), Di Battista ha superato abbondantemente il mezzo secolo di attività nella carta stampata, vissuto tra Firenze, Roma e ritorno, da cronista a inviato di costume e sport. Prima di approdare alla «Nazione» nel 1982, è stato infatti caporedattore di «Paese Sera» nella capitale e poi dal 1975 responsabile della redazione fiorentina, dove ha lanciato una generazione di brillanti cronisti. Dell’esperienza romana passata accanto a colleghi del calibro di Arrigo Benedetti, Gianni Rodari, Andrea Barbato, Giuseppe Fiori, Giorgio Forattini, Aldo Biscardi, narra spesso, quasi con nostalgia ed emozione, quando gli fu affidata l’impresa di preparare nel 1963 l’edizione straordinaria per l’elezione del successore di Giovanni XXIII. La redazione decise di creare un giornale prefabbricato. Così: dieci pagine, nove delle quali fisse e buone per tutti i papi possibili. Piene di curiosità sullo svolgimento del Conclave e la storia dei Pontefici a partire da San Pietro. «Fin qui – mi racconta Sergio Di Battista – tutto abbastanza facile, ma il nome del nuovo eletto? Insomma, la prima pagina con titolone, grande fotografia e relativa biografia: roba da indovini. C’erano pochi giorni di tempo. Al vaticanista Lillo Spadini fu dato l’incarico di scegliere alcuni dei più papabili tra i cento e più cardinali. Alcuni? Alla fine ne vennero fuori trentacinque. Di tutti Lillo dovette scrivere la biografia: una vera maratona. Petrovic e il sottoscritto in tipografia impaginarono, una dopo l’altra, trentacinque prime pagine: da Alfrink a Tisserant erano tutti papi. Le pagine di piombo fisse furono subito inserite nei cilindri della rotativa; le altre trentacinque andarono a formare alcune pile di argentei siluri, in attesa della fumata bianca. Quando arrivò l’annuncio, bastò prendere quella di Montini e pigiare il bottone della rotativa. Tra parentesi: Paolo VI era stato l’ultimo a partire dal bancone della tipografia. Commentammo che se fosse stato lui il prescelto, tutto il lavoro per gli altri trentaquattro sarebbe stato tanto utile quanto vano. Tuttavia, conservo ancora qualche bozzone di papi mai eletti, insieme a una lettera del direttore Fausto Coen. L’edizione straordinaria arrivò in piazza San Pietro affollata mezz’ora dopo il solenne annuncio. E la gente si chiedeva come fosse stata possibile tanta rapidità». Di momenti ed aneddoti come questo, Di Battista ne avrebbe tanti da narrare. Molti sono riassunti in appunti custoditi in un archivio così ricco di ritagli, foto e documentazione varia, da far invidia alla Biblioteca Nazionale. Altri li ha già esternati su riviste e giornali ai quali collabora da quando (1994) è andato in pensione alla «Nazione». E naturalmente sono entrati pure nei libri che ha scritto dal 2002 ad oggi: i due volumi sul calcio della memoria pubblicati da Polistampa («La partita della vita» e «Un secolo di Mondiali», un omaggio allo sport più bello del mondo, da lui praticato con passione fino a qualche anno fa nella squadra amatoriale dei giornalisti ,capitanata da Sandro Picchi) e l’ultimo, appunto, «La Firenze dei passi perduti», edito da Medicea. Stavolta lo scrittore ci offre gustosissime curiosità che danno colore e vita alla Firenze di ieri e del passato. Con ironia e a volte con malinconia per quello che si è perso irrimediabilmente.
Data recensione: 27/07/2014
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Antonio Lovascio