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«Stemmari occasionali» fra i più diffusi in tutta Europa, le sepolture delle chiese e dei chiostri sono una delle fonti primarie più importanti per lo studio dell’araldica.

C.Cheli - A.Chiti - R. Iacopino: Le lapidi terragne di Santa Croce. I. Dalla metà del Trecento al 1417 - II. Dal 1418 al 1499 - III. Dal 1500 al 1931, con un saggio introduttivo di R. Lunardi. «Stemmari occasionali» fra i più diffusi in tutta Europa, le sepolture delle chiese e dei chiostri sono una delle fonti primarie più importanti per lo studio dell’araldica. Il regesto che qui si pubblica, che riguarda un tempio assai celebre, la basilica di S. Croce a Firenze, è una testimonianza significativa del genere, non solo per la quantità dei reperti (243 lastre tomboli, delle oltre mille originariamente attestate da antichi ‘sepoltuari’ manoscritti), ma per la loro qualità, che documenta l’evoluzione dello stile araldico in una delle più grandi metropoli europee tra Medioevo e prima età moderna. Gran parte delle lapidi sono decorate di stemmi, databili dalla metà del XIV s. fino all’Ottocento: ovviamente quelle dotate di maggior interesse sono le più antiche, ossia le 116 anteriori al 1499, senza nulla togliere all’altra metà compresa nei secoli dell’età moderna. Il catalogo, ottimamente curato dalle tre esperte autrici, ricostruisce con attenzione l’attività delle botteghe dei lapicidi fiorentini (nel ’400 ne sono attive oltre 50), descrive esaurientemente le caratteristiche tipologiche dei manufatti su basi stilistico - comparative ad un determinato autore o scuola (tra i quali spicca per importanza, nella fase più antica, la bottega di Lorenzo Ghiberti e della sua cerchia, che sta all’origine  dell’attività do molti grandi scultori del Rinascimento a Firenze, come Michelozzo, Desiderio da Settignano, i Rossellino, Verrocchio etc.). Ognuna delle 243 schede è corredata dai dati biografici delle persone sepolte in S. Croce: poche recano l’effigie del defunto, e si tratta di casi di personalità importanti, benemerite della città (amministratori e pubblici ufficiali) o di membri di grandi famiglie. È sufficiente scorrerne i nomi, e confrontarli con un qualunque repertorio storico - araldico, per rendersi conto che si tratta di un segmento rappresentativo della èlite dirigente della città, che prediligeva le grandi chiese degli Ordini, come appunto S. Croce e S. Maria Novella. La maggior parte delle lapidi reca solo lo stemma e un’iscrizione. Gli stemmi, salvo pochi esempi riferibili a cavalieri e nobili, talora forestieri, non portano cimiero o altri, assai poco diffusi in una città dove il ceto dirigente era in gran parte di origine ’popolare’ e mercantile;  lo scudo è generalmente di forma ovata, tipica dell’uso fiorentino, che evolve già dalla fine del ’300, per cedere il posto poi a forme più elaborate all’inizio del ’500. Già l’attribuzione a botteghe di grandi nomi dell’arte fiorentina, attivi anche nella realizzazione di manufatti araldici (come aveva già documentato ampiamente F.Fumi Cambi Gado nel catalogo degli Stemmi nel Museo nazionale del Bargello, Firenze, 1993), dà conto della cura con cui sono raffigurate figure e pezze araldiche. Una variante locale dello stile tardo-gotico maturo domina il panorama cittadino fin verso la metà del ’400 ed è connotata da grande eleganza formale: nella mise en page di pezze, partizioni e figure multiple si nota uno studio dell’esattezza delle proporzioni geometriche, un gusto elevatissimo della costruzione simmetrica, la pratica raffinata - che poi va perdendosi in età moderna - dello horror vacai. Le figure comuni (che formano un repertorio abbastanza ristretto: leoni, aquile, grifi, più spesso, oltre a pochi altri animali e piante) sono trattate in generale con qualche forza plastica, ma perlopiù senza il linearismo e l’astrazione tipici dell’araldica dell’Italia settentrionale e nord-europea, e dunque con la tendenza ad un certo ’naturalismo’ (soprattutto nella resa degli animali), che segna il carattere specifico dell’araldica fiorentina. Ciò conduce talora - verosimilmente quando il lavoro era attribuito a maestranze meno esperte - a qualche goffaggine non sempre gradevole. Ma questo carattere specifico spiega anche perché a Firenze, nel Quattrocento maturo, si sia sperimentato il tentativo, forse il più importante prima dell’età moderna, di creare uno stile araldico nuovo, sensibile al nuovo gusto umanistica, che rompeva coscientemente con quello gotico. Un esperimento ’modernista’ coraggioso, ma non sempre riuscito, giacché destinato presto a dar luogo a una ’maniera’ che conduce poi un po’ ovunque, tra il ’500 al ’800, ad un classicismo nel quale i tratti stilistici costitutivi dell’araldica originaria, e la sua forza grafica e comunicativa, vanno in gran parte perduti. Questo esperimento ’naturalista’ culminò a Firenze nell’opera di sommi artisti come Donatello e i Della Rabbia, ma lascia qualche traccia anche nell’opera più di routine di molte botteghe che lavorano per secoli al sepolcreto di S. Croce.  
Data recensione: 01/01/2014
Testata Giornalistica: Archives Héraldiques Suisses
Autore: Alessandro Savorelli