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«È da madre natura che acquisisco e cerco di capire il più possibile. Tento di tradurre sulla tela e di trasformare mantenendo l’equilibrio

Una singolare personalità d’artista da riscoprire

«È da madre natura che acquisisco e cerco di capire il più possibile. Tento di tradurre sulla tela e di trasformare mantenendo l’equilibrio che essa mi trasmette. Dico tradurre, perché questa dipinge un proprio linguaggio, un linguaggio universale nell’intero cosmo. Un esprimere che a noi rimane e rimarrà sempre un mistero ». Con rapimento e stupore degno di Lucrezio, così parlò in una rara ‘confessione’ Orlando Menchis, Orlando Bonechi all’anagrafe, caleidoscopico e riservato artista nato a Firenze il 21 maggio 1921, di cui da alcuni anni si erano quasi completamente perse le tracce, dopo gli esordi negli anni Cinquanta, dopo l’ultima personale allestita alla Galleria d’Arte Internazionale Gai, nell’ormai lontano 1972. Un artista finalmente ritrovato grazie, anche e soprattutto, alla mostra nel palazzo comunale di Fiesole, a cavallo tra fine 2011 e inizio 2012, curata da Stefano De Rosa con la collaborazione dell’amministrazione comunale di Fiesole, nella persona dell’assessore alla cultura Paolo Becattini, di Paolo Cantinelli dell’Accademia delle Arti del Disegno e del professor Roberto Mascagni, presidente dell’Accademia Florentia Mater. Un’opera, quella di Menchis, tornata sotto le luci dei riflettori anche per merito del catalogo, curato sempre da De Rosa, pubblicato da Edizioni Polistampa, che ci restituisce un pittore – definizione francamente molto limitativa – troppo a lungo dimenticato. Riservato, ma determinato, Menchis, ancora adesso tiene la tavolozza in mano nella residenza assistita ‘La Cupolina’ dove è domiciliato. Un uomo fuori degli ingranaggi, dalle logiche di mercato, sganciato dal circuito degli ambienti che contano. Mai allineato, allora, alle scelte improntate all’avanguardia astrattistica. Un percorso, quello della pittura, intrapreso da Menchis nell’immediato secondo dopoguerra, conseguente all’incontro con Ottone Rosai, il pittore di Via Toscanella che all’epoca cominciava a far scuola. Menchis di Rosai fu prima allievo e poi amico, sottraendosi però alla ‘morsa imitativa’ in cui finirono per cadere altri ‘seguaci’. La storia di Bonechi-Menchis ha inizio nel 1951 con la partecipazione a una collettiva del Gruppo Donatello. Un esordio gravido di soddisfazioni, tant’è che una sua tela con Piazza del Carmine spoglia di presenza umana — tema ricorrente nella sua opera paesaggistica – viene premiata con l’acquisto da parte della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. Opera composta con una tavolozza ridotta: grigi, rosa e terre morte. L’anno successivo, alla Casa di Dante, altra esposizione stavolta in compagnia di Rodolfo Marma. E nel 1953 l’incontro cruciale con l’opera di Heinrich Ludolf Verworner al Circolo degli Artisti di Firenze-Casa di Dante. Una ‘folgorazione’ che a Menchis spalanca le porte dell’Espressionismo, fascinazione che riuscirà però a tradurre in una cifra stilistica personale. Nel 1966, quella natura tanto amata e contemplata non gli è benigna, non lo ripaga con lo stesso amore: le acque dell’Arno invadono il suo studio in via dei Neri, portandosi via i lavori pronti per un importante mostra all’estero. Poi, come accennato, l’ultima mostra personale al Gai nel ’72. Sommessamente, Menchis esce di scena, non compare più nelle animate cronache artistiche fiorentine di allora, di cui si avverte la mancanza. Parlare oggi di lui, l’incantato cantore degli scorci di Bellosguardo, di Monte Oliveto, di Marignolle, potrebbe apparire quasi un ‘affronto’ alla sua scelta di ‘estraneità’ ascetica. Ma ci pare ‘affronto’ dovuto a un artista la cui pittura — come si legge in un anonimo trafiletto di quei lontani giorni—è stata «estremamente leale». Un ‘affronto’ che è giusto tributo a un onesto e umile lavoratore del colore, lontano da contiminazioni mondane, la cui opera è sempre stata improntata alla massima libertà intellettuale. Qualità in estinzione.
Data recensione: 08/12/2013
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Maurizio Sessa