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Forse la sintesi migliore del libro di Guderzo è quando l’A. afferma che la politica latino-americana di Carter fu caratterizzata da «una miscela variabile tra realismo voluto

Forse la sintesi migliore del libro di Guderzo è quando l’A. afferma che la politica latino-americana di Carter fu caratterizzata da «una miscela variabile tra realismo voluto o forzato e applicazione consapevole o inerziale dei valori» (p. 57), cioè a dire che il progetto carteriano di aiuto ai paesi dell’America latina, sia dal punto di vista economico sia da quello della diffusione dei diritti umani come strumento di composizione dei contrasti in un’area tradizionalmente conflittuale, dovette fare i conti con la realtà di un sistema politico internazionale ancora fortemente dominato dalla Guerra fredda. In effetti, le «regole della Guerra fredda», come molto opportunamente titola Guderzo il terzo capitolo del libro, ma anche le contraddizioni croniche dell’immensa regione latino-americana, rappresentarono un ostacolo spesso insormontabile per l’efficace attuazione del disegno del presidente americano di favorire «il futuro dell’emisfero» non più incardinato «nell’autoritarismo mascherato dal consenso o nel totalitarismo che indossava […] il travestimento della giustizia» (p. 98).
La contraddizione che Guderzo acutamente individua nell’azione di Carter verso il sud del continente americano è proprio nello sbilanciamento tra propositi e risultati, tra idealità e bruta realtà, la quale ultima si dimostrava, nel suo consolidato radicamento, ben poco disponibile ad accettare gli sforzi di pacificazione perseguiti con ostinazione dal presidente americano o il messaggio di democrazia insito nella retorica dei diritti umani che era il cavallo di battaglia di Carter. In sostanza, se gli Stati Uniti intendevano non assecondare più, come avevano fatto fino ad allora per mera convenienza politica, lo status quo latino-americano, con i suoi caratteri di repressione politica e di miseria e sfruttamento, la realtà largamente anti-democratica della regione opponeva difficoltà spesso insormontabili alla buona volontà americana. Carter, afferma Guderzo, era più che mai convinto che «gli Stati Uniti potessero e dovessero rendere la propria politica estera democratica […], utilizzando potere e influenza per obiettivi attenti ai valori umani» (p. 25), ma era la realtà politica latino-americana, tranne pochi casi, profondamente sorda ai diritti umani e ai processi di democratizzazione.
Tuttavia, Guderzo sostiene, dopo un’attenta analisi dei quattro anni di politica carteriana verso l’America latina, che i risultati non furono complessivamente deludenti. Per quanto riguarda il Messico e il Venezuela, Carter sostenne le iniziative dei due paesi a proposito del controllo regionale degli armamenti; inoltre, sul piano degli aiuti militari, il presidente americano tentò, con qualche successo, di bilanciare la consistenza delle forniture militari con la necessità di non dar luogo ad una corsa agli armamenti, senza, nello stesso tempo, fornire all’Unione Sovietica il pretesto di intervenire con le proprie forniture. Bilanciamento di difficile attuazione, ma non del tutto fallimentare.
Più efficace fu l’azione di Carter nel campo della risoluzione pacifica delle controversie. Il contrasto tra Cile e Argentina a proposito del canale di Beagle, nella Terra del Fuoco, fu risolto con successo, come anche la disputa frontaliera tra Honduras ed El Salvador fu affrontata con grande impegno. Carter intervenne anche a proposito del Belize e della richiesta dell’Ecuador di accesso all’Amazzonia. Negativo, invece, fu il bilancio nell’America centrale, dove le questioni del Nicaragua e di El Salvador restarono irrisolte. Inoltre, il presidente americano firmò, il 1° giugno 1977, la Convenzione americana per i Diritti umani, cui aderirono quattordici paesi, ottenendo un successo di prestigio nel campo che più gli stava a cuore.
Ma l’interrogativo finale può essere questo: la politica di Carter verso l’America latina ebbe esiti più soddisfacenti rispetto a quelli legati al ruolo di honest broker svolto dal presidente americano? Difficile dare una risposta affermativa. Il merito del libro di Guderzo sta proprio nell’aver individuato, e analizzato, negli anni di Carter il primo vero tentativo di un’amministrazione americana nel secondo dopoguerra di modificare sostanzialmente il tradizionale approccio di Washington verso un’immensa regione fondamentale negli equilibri internazionali, ma, nello stesso tempo, di averci fornito, grazie ad un solido impianto documentario, una limpida chiave di lettura di una realtà di difficile approccio, i cui problemi presentavano tempi e metodi di soluzione di complessa individuazione.
Data recensione: 01/09/2014
Testata Giornalistica: Ricerche di Storia Politica
Autore: Antonio Donno