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Definire qualcuno, oggi “sindaco santo”, suonerebbe comico riferito a chiunque, ma a Giorgio La Pira — sindaco di Firenze fra il 1951 e il ’58

Definire qualcuno, oggi “sindaco santo”, suonerebbe comico riferito a chiunque, ma a Giorgio La Pira — sindaco di Firenze fra il 1951 e il ’58 e fra il ’61 e il ’65, giurista, intellettuale, membro della Costituente, esponente di punta della Dc del dopoguerra, consacrato a laico con celletta nel convento di San Marco, e famoso, fra i tanti motivi, anche per aver convinto l’Eni a salvare il Pignone per averglielo chiesto in sogno la Madonna — andava a pennello. Incasellarlo come persona, infatti, era impossibile, chiuderlo dentro una definizione politica pure. E forse è anche per questo che è passato alla storia, nella top ten dei sindaci ideali (non solo per Firenze). Ma nessuna grandezza deriva da una ricetta, e nel caso del sindaco venuto da Pozzallo (in un certo senso, come papa Francesco, «da lontano») si radicò in qualcosa di davvero inimitabile, una autenticità cos’ tenace nasce da essere scambiata, a volte (soprattutto dalla politica) per stranezza. E niente lo dimostra come le immagini proposte in “La forza della speranza. Giorgio La Pira, storia e immagini di una vita”, (Polistampa), a cura di Giorgio Giovannoni, Oliviero Olivieri e Piero Vinci, con testo di Riccardo Clementi, e prefazione di Mario Primicerio, presidente della Fondazione omonima. Ma perché “guardare” La Pira, oltre che scriverne, come peraltro è stato fatto perfino troppo? E cosa può esserci di tanto attraente in una galleria di foto in bianco e nero che a partire dall’infanzia da povero lo ritrae, tappa per tappa, fino a quando diventa sindaco della “città sul monte”? Immagini da repertorio biografico inizio secolo (La Pira era nato nel 1904) nella prima parte, e poi da politico impegnato nel suo ruolo pubblico? Lo spiega Clementi: «Ciò che per altri appare rituale, formale, in La Pira diventa un gesto espressivo, perché carico di tutta la sua pienezza di vita e di fede». In altre parole, «di contenuti veri», che sono poi «da un lato una fede profondissima, e dall’altro una visione della politica vissuta come servizio per gli altri, i poveri innanzitutto» C’è qualcosa di più lontano dalla politica di oggi? Niente di strano, dunque, che in La Pira, dice Clemtenti, «tutto comunichi qualcosa», l’espressione del volto come il modo di vestirsi e di rivolgersi agli altri, quando accarezza uno scolaretto o parla agli operai, è a fianco di Paolo VI o visita la piazza Rossa, va alla messa dei poveri in San Proloco o tiene un comizio elettorale, inaugura il quartiere dell’Isolotto o si mette in posa con U Thant per una foto ricordo al piazzale Michelangelo, stringe la mano a Maometto V o si inginocchia a pregare, un braccio su una sedia. Mai un atteggiarsi, «sempre uno stare da innamorato dell’umano», ciò che appunto ricorda l’autore, «fede di lui, come nessun altro, un uomo di dialogo mondiale e uno straordinario promotore di pace». Lui che pure (come quella volta in Urss, quando appena arrivato chiese di poter andare a messa) «non rinunciò mai a marcare con forza la propria identità culturale e religiosa, accettando di essere scambiato per un integralista». Vera comunicazione, insomma. Alla faccia dei presunti “comunicatori” di oggi.
Data recensione: 25/04/2013
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Maria Cristina Carratù