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«È tanta copia di pietre in città, che non è meraviglia chi i tempii e chiese e torri e casamenti e palazzi e loggie fanno stupire tutti i forestieri», scriveva nel Cinquecento Agostino del Riccio

«È tanta copia di pietre in città, che non è meraviglia chi i tempii e chiese e torri e casamenti e palazzi e loggie fanno stupire tutti i forestieri», scriveva nel Cinquecento Agostino del Riccio, quando la fama di «Firenze città di pietra» era già consolidata. Città di pietra per eccellenza, più di altri borghi medievali, prima in Occidente a lastricare le sue strade a metà 1200 migliorando drasticamente pulizia ed igiene pubblica, col Brunelleschi che aveva introdotto l’uso sistematico della pietra serena, Firenze per secoli è stata la grigia — ed anche buia — città di pietra, simboleggiata dal «dado» di pietra più famoso del mondo, Palazzo Vecchio reso slanciato solo dall’asimmetria della sua torre. Di pietra, anzi di pietre perché l’elenco comprende macigno, acciottolato, pietraforte, pietra serena, che coprivano ogni centimetro all’interno delle mura e che erano disposte a volte in maniera geometrica, altre alla«rinfusa», ma sempre con grande cura e perizia. Le cave di Monte Rinaldi e Monte Ceceri erano a portata di mano come quelle della collina di Boboli le più antiche erano addirittura in piazza Santa Felicita) e di Bellosguardo o della valle dell’Ema, di Maiano e Settignagno, il trasporto via fiume consentiva l’arrivo di pietre e manufatti anche dal Chianti, Prato e Pisa, e quelle degli scalpellini erano vere dinastie. Risultato, Firenze era «città con gran maestria edificata, et bella sopra tutte le città d’Europa» e ancora nell’Ottocento gli stranieri del Grand Tour riportavano a casa il fascino del mito e l’unicità della sua bellezza fatta anche di pietre. La lunga storia dei lastrici della città del giglio è stata approfondita dal libro «Firenze, la materia della città. Materia e disegno pavimentate nelle strade del centro storico» a cura di Francesco Guerrieri, edito da Polistampa pochi mesi fa e guida preziosa per una memoria che rischia di svanire. Guerrieri fa il punto sulla delicata questione del mantenimento del voto storico e storicizzato dei lastricati fiorentini — ad iniziare dalla madre di tutte le polemiche, la ripavimentazione di piazza Signoria negli anni ottanta con tanto di strascichi giudiziari e della vox populi che parlava delle vecchie pietre finite perdute o nei cortili di qualche villa — ed individua i punti di svolta: « Il primo importante evento che segnò l’inizio del degrado fu l’esaurirsi del personale comunale addetto alla manutenzione dei lastrici stradali, seguito dall’esternalizzazione dei lavori, allontanandosi sempre più dai principi del restauro; il secondo aspetto riguarda un genere estinto, gli scalpellini, che non esistono più nonostante i generosi tentativi dei corsi professionali». Altro elemento di cambiamento, non meno importante, l’arrivo delle lastre di pietra tagliate a macchina, tutte uguali, e con l’esaurimento delle cave la disponibilità solo della pietra di Firenzuola, «una buona pietra certo — scrive ancora Guerrieri — ma certo non la stessa impiegata nei secoli, dal Brunelleschi al Poccianti, cioè dal Quattrocento all’Ottocento». «C’e da codificare il concetto di manutenzione della città e del spazio urbano, che potrebbe essere materia degna di un assessorato autonomo», aggiunge l’autore. Ma che pietre e come si usavano a Firenze, dalla Repubblica al Regno d’Italia’ Quadri, stampe, disegni, normative ci dicono che i lastricati erano di vario tipo, divisi sostanzialmente in ciottolato, lastre a filari, cioè disposte geometricamente, e alla rinfusa il tipo senza dubbio più diffuso, con anche esagoni in pietra e lastre di macigno sulle strade e sui marciapiedi, a volte lisce, altre con intagli a «lisca di pesce» per evitare che diventassero scivolose con la pioggia. Il cotto ed i mattoni erano un’eccezione, tanto che una torre nella zona dove oggi c’e piazza Strozzi era citata come torre in mattoni proprio perché differiva da tutta le altre e anche la celebre immagine con il rogo del Savonarola e il pavimento di piazza Signoria in cotto non ha repliche né prima né dopo, e le uniche macchie di colore erano i marmi bianchi e verdi delle facciate romaniche di San Miniato e di altre chiese. I documenti sull’utilizzo delle pietre per coprire le strade sono innumerevoli, a partire da quello del 1237 grazie a cui il podestà Rubaconte da Mandello, come racconta Giovanni Villani, fece sì che «alla sua signoria si lastricarono tutte le vie di Firenze, che prima ce n’aveva poche lastricate, se non in certi singulari luoghi, e mastre strade lastricate di mattoni». Nel 1270 il mercato vecchio venne lastricato a spese dei proprietari delle case circostanti, nel 1282 si istituirono gabelle per la manutenzione delle strade più importanti e dei canaletti di scolo che le fiancheggiavano, nel 1330 venne in parte ricoperto di pietra la piazza davanti al palazzo dei Priori e così via. la cura delle strade, il loro allargamento e «raddrizzamento» è stata una costante sua della Firenze medicea che di quella lorenese e la gestione moderna della questione inizia nel 1781 con la nascita della Comunità di Firenze, poi Comune, e del controllo della municipalità su appalti, regolamenti, circolari, pagamenti, fognatura, opere pubbliche, con l’istituzione di un «registro di tutte le strade, piazze e luoghi pubblici» ed il varo nel 1784 delle istruzioni per la realizzazione delle pavimentazioni. Da lì, la manutenzione e la posa delle pietre a mano, continuò senza interruzioni fino alla seconda guerra mondiale, lasciando inalterato il centro. Tutto questo permette di ritrovare i vari tipi delle storiche pavimentazioni, assieme a quella in porfido, arrivate solo nel Novecento ed in voga a Firenze per poco tempo, anche se via via l’asfalto ha corroso l’ampiezza e la continuità delle aree di pietra. In Oltranro si trovano le pietre di via de’Bardi o Costa dei Magnoli, quelle alla rinfusa di via Toscanella. la pietraforte di vecchio tipo è in via San Gallo e quella degli anni ’50 a San Felice a Ema o in piazza Santissima Annunziata e piazza Duomo. il macigno in via de’Cappuccini, l’acciottolato in via Torta a due passi da piazza Santa Croce, come anche in Borgo dei Greci, mentre le pietre esagonali sopravvivono solo in piazza Strozzi e in alcuni punti di piazza del mercato centrale e lastre tradizionali (miste a rattoppi moderni) si trovavano in tutta la zona di San Lorenzo. Altre pietre, quelle tagliate a macchina e scalpellinate col martello pneumatico, sono in via Capponi, in piazza Pitti, nelle nuove via Tornabuoni e via Martelli o piazza Santo Spirito, con effetti anche ottici nettamente diversi da quelle delle vie dove l’antico lastricato resiste. L’asfalto ha invece completamente ricoperto via Ghibellina, nonostante le furibonde proteste degli abitanti a metà degli anni Duemila, come potrebbe accadere in via Micheli e via Venezia. Se le ragioni culturali ed economiche non muteranno, è la conclusione la Firenze città di pietra sarà «falsa», con pietre «meccaniche» sparse qua e là come le tante copie di statue, e sempre più ridotta. Altrimenti? «saremo condannati al progressivo degrado e alla bruttezza che non furono mai di questa città», conclude Francesco Guerrieri.
Data recensione: 14/04/2013
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Mauro Bonciani