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Evviva! Ecco un vento culturale molto atteso e, certo, non solo a Firenze: la Cappella Rucellai con il suo «ricco e prezioso tesoro» interno

Il museo dei Marini, e dall’altra parte del muro la Cappella Rucellai. Ora c’è una porta per arrivare al Tempietto del Santo Sepolcro Evviva! Ecco un vento culturale molto atteso e, certo, non solo a Firenze: la Cappella Rucellai con il suo «ricco e prezioso tesoro» interno, il Tempietto albertiano del Santo Sepolcro, realizzato a somiglianza di quello stesso di Cristo nell’Anastasi di Gerusalemme, viene ufficialmente aperto domani.
Grazie alla recente intesa tra Curia, Soprintendenza ed il contiguo Museo Marino Marini, a conclusione dei suoi scrupolosi restauri di pulitura, ora è stata aperta in breccia una porta a scomparsa (senza maniglie) nella bianca muraglia intonacata tirata su, nel 1808, all’atto della consacrazione napoleonica dell’antica parrocchia (la chiesa benedettina di San Pancrazio) per consentire, su istanza della stessa famiglia proprietaria, di separarla dalla chiesa e di evitarne così la programmata spoliazione. Pochi anni prima di quella drastica chiusura, un solerte e calligrafico rilevatore francese (Grandjean de Montigny), aveva fatto appena in tempo a disegnare dal vero (1804) il Tempietto, inquadrato tra le due eleganti colonne monolitiche in pietra serena visto, dall’interno dell’atrio della chiesa, così come l’aveva voluto Leon Battista Alberti, il quale, per far ciò, aveva praticato un taglio davvero temerario nella preesistente muraglia medioevale, molto lodato già dallo stesso Vasari («fornado sotto il muro della chiesa, che è cosa difficile ma sicura»).
Ora, appena entrati nel Museo, una semplice pressione delle dita sull’intonaco della parete produce la bella sorpresa. E sei sùbito dall’altra parte del muro, rapito dal metafisico spazio sospeso della Cappella, davanti a quei raffinati commessi marmorei del Tempietto, così carico di simboli geometrici e di eleganti citazioni «all’orientale». Perché quell’edicola ha una sua eloquente storia gerosolimitana. Che ne riconduce l’ideazione agli anni esaltanti di quel Concilio che a Firenze celebrò, e proprio qui accanto, nella chiesa domenicana di Santa Maria Novella, la fragile unione tra le chiese, sancita con i Greci, gli Armeni, gli Etiopi, i Giacobiti nel 1439.Ed è proprio in questo vivace clima di pittoresca universalità (di costumi, di lingue e di colori) che scatta l’intesa tra due brillanti giovani coetanei, l’abbreviatore apostolico Leon Battista, attivo impiegato nella segreteria papale che in Santa Maria Novella risiede con il Papa e la sua curia (l’occhio alato dell’aquila è il suo emblema) e Giovanni di Paolo Rucellai già allora catastalmente ritenuto tra i più ricchi cittadini del quartiere per i fortunati commerci della famiglia con l’Oriente (la vela della fortuna è la sua insegna). Fin dal 1440 l’archivio ne documenta l’impegno a vincolare 300 fiorini d’oro in favore di un Sacello votivo in memoria del Santo Sepolcro di Cristo da costruirsi nella Cappella di famiglia in Santa Maria Novella o in San Pancrazio sua parrocchia, così «come più gli piacerà». Un’opera interna di grande prestigio e devozione, cui potrebbe alludere, sulla facciata in piazza ancora da completare l’immagine marmorea di un tempio classico attorno al suo occhio solare in un efficace contesto di riferimenti e citazioni astronomiche (stellae) e fioristiche (flores).
Com’è noto l’impossibilità di metter presto mano ai lavori (il cantiere della facciata può iniziare solo dal 1456) portò a separare l’una dall’altra, nel tempo e nello spazio,. le due prestigiose opere marmoree progettate in modo unitario dall’Alberti, finanziate dal Rucellai ed eseguite dalla squadra dello stesso abilissimo marmoraro (Giovanni di Bertino): il Tempietto sarà completato, com’è scritto loro in fronte a grandi caratteri lapidari romani, nella cappella di San Pancrazio nel 1467 e a Santa Maria Novella tre anni dopo (nel 1470) in assenza di Alberti che morirà nel 1472.
Quanto al capolavoro (per intensità creativa e per tecnica di lavorazione e di assemblaggio) del Tempietto, ora, con la sua attesa apertura, si potranno finalmente consultare da vicino quei venerandi marmi, magari sfiorandoli delicatamente con mano devota. Per apprezzarne non solo la parlante simbologia della tradizione classica e medioevale, ma per scoprirne le stesse inedite sovrascritture incise di nascosto, a punta di coltello, nelle fasce d’impaginazione in marmo verde-scuro di Prato, che ora aggiungono un’inattesa nuova cronaca confidenziale ad diem alla già intensa storia di queste belle formelle geometriche («a dì 12 luglio venne la duchessa di Nortumbria»; «1600 di febbraio morì Ferdinando Mediceo Granduca di Toscana»). E non solo scritte testimoniali tracciate in fretta. C’è anche l’arguto profilo caricaturale, ci piace pensare, di un frate furtivamente abbozzato da un distratto devoto forse durante una cerimonia troppo lunga. Dalla storia alla microstoria confidenziale del quotidiano, dunque: queste le nuove piacevoli sorprese di una profonda architettura parlante che, a saperla ascoltare, ha ancora molto da dirci (e da emozionarci ancora un po’).
Data recensione: 13/02/2013
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Marco Dezzi Bardeschi