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Giorgio Antonioli Ferranti è un giovane studioso la cui acribia critica, unita a una certosina ricerca delle fonti e a una scrittura fluida, ha permesso

Giorgio Antonioli Ferranti è un giovane studioso la cui acribia critica, unita a una certosina ricerca delle fonti e a una scrittura fluida, ha permesso d’affrontare un tema autorevole (e di venirne a capo): dove si trovava in origine il Battesimo di Cristo di Verrocchio e Leonardo ora agli Uffizi, e chi lo commissionò? Quali idee teologiche sottendono al dipinto, al di là della palese iconografia del Battesimo? E chi è l’angioletto di profilo che Vasari tanto lodava, rammentando la mano del giovane Leonardo, allora – verso il 1470-1475 – a bottega da Verrocchio? Ferranti parte, com’è giusto, dal decisivo saggio che il suo maestro Antonio Natali, oggi direttore degli Uffizi, scrisse nel 1998 a seguito del restauro del dipinto, da lui stesso curato (Lo sguardo degli angeli, uscito nelle “Mitteilungen” del Kunsthistorisches Institut, nel libro omonimo di Silvana, e nel 2002, con qualche variante, nel Giardino di delizie). Natali poneva domande (e già proponeva risposte) fino ad allora mai avanzate: «Perché il grosso rapace in alto a destra sembra fuggire dalla colomba, inviata dalle mani dello Spirito Santo?». Natali non azzardava solo “la soluzione d’un rebus iconologico” giacché individuava anche, con giuste prove, che l’angelo leonardesco, cui rivolge insolitamente lo sguardo l’altro angioletto, è san Michele arcangelo che regge le vesti di Gesù. Ma anzi cercava «suffragio alla proposta » che l’opera fosse stata senz’altro commissionata per il convento di San Salvi, come si pensava senza prove sicure. La presenza di san Michele ma anche del rapace doveva fornire ulteriori indizi al fatto che la cultura del committente era notevole, e senz’altro legata a un testo citato da Leonardo nel Codice Arundel: la Catena aurea, commento di san Tommaso ai Vangeli, pubblicato nel 1470. Natali aveva ragione, e il giovane allievo lo dimostra, partendo dal fatto che l’abate di San Salvi era Simone di Michele, nientemeno che fratello del Verrocchio. Il resto può esser letto come un giallo, e non lo vogliamo qui svelare.
Data recensione: 01/05/2013
Testata Giornalistica: Arte Dossier
Autore: Gloria Fossi