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Firenze, con l’Arno che la traversa e i ponti che la inarcano, è città di terra e di cielo, a misura d’uomo.

  Firenze, con l’Arno che la traversa e i ponti che la inarcano, è città di terra e di cielo, a misura d’uomo, dove è possibile percepire un forte senso di radicamento e, insieme, di improvviso smarrimento. In tutto ciò agiscono l’incantamento del doppio proscenio dei colli e, all’opposto, il fiume che, con i suoi ponti, col suo flusso assiduo invita a soste e traversamenti dando vita a una città sempre in divenire. Non a caso: la città del Fiore. Le sue piazze, in questo contesto, si pongono come approdi in cui ritrovarsi e da cui ripartire, dal centro alle periferie, per un evento estetico. Sono luoghi segnati dal tempo e nel tempo, sognati vivi e veri: dove a volte uno sguardo, uno scorcio, un gesto, hanno più valore di una cupola. Sono “luoghi senza tramonto” e rimangono come in un fermo immagine. Clara Nistri, poetessa fiorentina, che si esprime con l’austera affabilità appresa dalla lezione lirica di Luigi Fallacara, ha provato a raccogliere queste emozioni paesistiche in un quaderno, Firenze e me, illustrato dalle chine del Maestro Roberto Ciabani, che ha delineato alcuni tratti della città come in filigrana. “Luogo senza tramonto” è Piazzale Donatello, posto sulla linea delle antiche mura del lato nord della città, che ha, al centro, il cimitero degli Inglesi. “Una montagnola/viva di verde/ e bianche tombe/incise dal tempo.” Simbolicamente, una piccola Spoon river che sfida il tempo perchè si dice che per “L’isola dei morti”Arnold Böcklin abbia preso ispirazione proprio dal cimitero degli Inglesi di Firenze dove fu sepolta sua figlia, ultima a essere interrata, nel 1877. Qui il tempo si è come fermato. Oltre i viali, l’Arno (“mio fiume./Mia incessante pena” – una sorta di “memoria dell’acqua”) guida l’autrice al di là del Ponte San Niccolò, verso il Viale dei Colli per ritornare a Porta Romana. Una grande finestra semicircolare sul fiume. All’inizio, fra sassi bianchi e ciuffi d’erba stenti la poetessa si sente perduta, ma, alzando lo sguardo, si scopre in una interiore accensione perchè “dove la valle apre a mezzogiorno la distesa degli orti grida il rosso di un papavero”. Dal piazzale, l’Arno sullo sfondo, Viale Ariosto e la pescaia di Santa Rosa tratteggiano il percorso nella natura, dove non sai se il muoversi per ombre e fa ombre sia dovuto ai riflessi delle stagioni o all’inquietudine interiore. Traversato l’Arno, alla “Fortezza da Basso”, il mosso silenzio della fontana accoglie una doppia, contrastante valenza: “un’angoscia d’ombre” e “il cigno bianco” che “svapora nella dissolvenza/della luce”. Partiti da una piccola Spoon river (“Piazzale Donatello”), abbiamo completato il cerchio aperto verso nord e il viaggio si è rivelato alla fine una sorta di omaggio alla Città, in consonanza con la “vita che rinasce/dal buio di se stessa./Nuova” nei “fuochi” nella rigeneratrice notte di San Giovanni. Dunque, oltre alla visitazione dei grandi monumenti e delle grandi opere, vi sono percorsi trasversali, da “trovare” ognuno a modo suo, scanditi dal battito del cuore, in paesaggi aperti su un intarsio di tetti e di cupole.
Data recensione: 12/05/2012
Testata Giornalistica: Nuovo Corriere
Autore: Franco Manescalchi