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Sciabole, lame da duello e soprattutto fioretti. La collezione unica di uno psichiatra fiorentino.

Le eleganti architetture ottocentesche che un tempo ospitavano, a Busto Arsizio, i telai dell’industria tessile lombarda sono, dal giugno scorso, lo scrigno di una collezione unica. L’Agorà della Scherma è il solo museo esistente in Europa che racconta, con cimeli di ogni tipo, le vicende di cappa e spada trasformatesi nei secoli nella disciplina più medagliata della storia dell’Italia sportiva. Dai trattatisti cinquecenteschi Marozzo e Manciolino alle glorie novecentesche del livornese Nedo Nadi è un percorso affascinante e poco conosciuto. A riempire le vetrine della storica società Pro Patria e Libertate, esistente in provincia di Varese dal 1881, ci ha pensato per larga parte uno psichiatra fiorentino. Silvio Longhi, ottant’anni splendidamente portati, da tre decenni studia e racconta la scherma in ogni modo possibile: raccogliendo esemplari unici, collezionando volumi sul tema, scrivendo libri (l’ultimo La spada da difesa e da duello, Polistampa), e perfino restaurando lame con le proprie mani. Intanto continua colmare i corridoi e gli armadi della sua casa–museo di Limite sull’Arno di ogni reperto che r riguardi le vicende della disciplina, ai trattati rinascimentali alle armi da duello dell’800, fino alle prime forme dei più moderni fioretti sportivi impugnatura anatomica. Dalla storia alla cronaca. Per Longhi – figlio d’arte, già il padre collezionava uniformi de epoca Napoleonica – la passione per le vicende schermistiche cominciò da piccolo, quando giocava con gli amici per le strade di Firenze: «Costruivo da solo spade di legno e complesse armature di cartone ispirandomi ai disegni del ’500». Inizia così, nel modo più semplice, una passione che lo porterà ad essere uno dei maggiori collezionisti italiani. Artista naturale che durante gli studi di medicina si cimentò perfino con la lavorazione della ceramica, Longhi dai primi anni ’60 prende a frequentare le botteghe e le bancarelle dei rigattieri intorno a quelle che allora erano le rovine di via Pietrapiana: piatti, carte geografiche, ferri da stiro, stampe, armi da caccia, moschetti. Dopo aver messo insieme una poderosa raccolta di sciabole da cavalleria italiane e francesi, nei primi ’80 la passione si concentra più decisamente sulla scherma. Con gli anni, il collezionista si trasforma anche in restauratore di propri pezzi più pregiati, imparando i segreti più nascosti del lavoro di forgiatore. «Nel laboratorio di un fabbro di via Fiesolana, che si chiamava Oscar, ho imparato il mestiere, prendendo dimestichezza anche con le saldature, con la fiamma ossidrica. Quando poi stava per morire, Oscar volle spiegarmi il sistema per uno dei compiti più difficili di questo campo: come raddrizzare un a lama senza romperla». Storico, teorico, e artigiano, Longhi negli anni ha riempito i ripiani della sua ricchissima biblioteca di volumi antichi, curando l’edizione critica dei trattati cinque–seicenteschi di Antonio Manciolino e Marco Docciolini e occupandosi dell’evoluzione del duello da strumento giudiziario a sport, nel corso di mezzo millennio. E per ognuna delle tappe di quell’evoluzione, Longhi può portare decine di esempi tangibili. Spade napoletane a tazza, sciabole da ussari, lame da duello iberico, armi italiane rigorosamente a coppie perché destinate al duello, spade da pedana, preziosi fioretti di fine ’600, fino alle armi anni ’30 con le prime impugnature anatomiche ancora oggi utilizzate. Unendo competenza per le tecniche del combattimento – delle quali disegna personalmente le tavole – e una grande conoscenza pratica dei materiali e metodi di fabbricazione. Uno dei piatti forti della raccolta sono i materiali «da sala», quelli utilizzati dai maestri durante le loro lezioni: piastroni, maschere, manicotti, solitamente più difficili da conservare e tramandare rispetto alla armi bianche. Tutto quello che letteratura e cinema hanno fatto sognare – dai Tre Moschettieri a Zorro, da Scaramouche ai Duellanti di Ridley Scott, fino al più recente Il maestro di scherma di Pérez–Reverte – si materializza nella collezione Longhi. E dietro ogni oggetto si intravede l’ombra di una storia, la mano che l’ha impugnato, il duello che l’ha visto protagonista, i fendenti che ha tirato e parato. Acciai brillanti e impugnature consunte, maschere e cocce scalfite dai colpi. Lame che portano incise ricordi di battaglie risorgimentali o motti romantici («Non ti fidar di me, se il cor ti manca», si legge su quelle). A Busto Arsizio, le vetrine ospitano i pezzi più pregiati della collezione Longhi, tanti altri aspettano di essere esposti, mentre la raccolta verrà arricchita in futuro secondo i voleri del collezionista. Intanto, il maestro Giancarlo Toràn, la cui passione ha fatto nascere il Museo lombardo cui è annesso un archivio multimediale straordinario per qualità e quantità, conserva altre perle, tra cui ben quattro casse di materiali – ancora da riordinare e studiare con attenzione – con i cimeli e i ricordi, personali e sportivi di Nedo Nadi. Tutte le glorie dello spadaccino livornese, che alle Olimpiadi di Anversa del 1920 riuscì a vincere ben cinque medaglie d’oro, sono state ritrovate qualche anno fa a Chiavari, in un negozio di vecchie motociclette.
Data recensione: 03/11/2012
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Gabriele Fredianelli