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Il 21 marzo è il primo giorno di Primavera. In Iran è anche il Capodanno. Per Akbar Ganji dovrebbe essere il giorno della sua liberazione dal carcere di Evin , dove è stato chiuso nel

Il 21 marzo è il primo giorno di Primavera. In Iran è anche il Capodanno. Per Akbar Ganji dovrebbe essere il giorno della sua liberazione dal carcere di Evin , dove è stato chiuso nel aprile del 2000. Ma nessuno, a Teheran, crede che il regime degli Ahyatollah sia disposto a rimettere in circolazione questo giornalista e scrittore che, dopo aver partecipato con convinzione alla Rivoluzione di Khomeini , ha cominciato poi a denunciare gli errori sanguinari del regime, i delitti di Stato , chiedendo la separazione fra religione e politica, la democrazia, la libertà di espressione. La maggiore colpa di Ganji è stata quella di essere popolare. I suoi reportages e i suoi libri erano diventati veri e propri fenomeni editoriali: la gente faceva la fila alle edicole per acquistarli, ancora oggi gli studenti universitari che manifestano per la sua liberazione, li leggono come samisdaz.

Akbar Ganji è il simbolo e la mente di quella opposizione liberale che in Iran tenta con grandi difficoltà di costruire un’alternativa alla deriva autoritaria e aggressiva imboccata esplicitamente dal Regime con l’elezione di Mahmoud Ahmadinejad e che riunisce quel che resta di un ampia e qualificata schiera di giornalisti, scrittori , poeti e filosofi decimata in questi ultimi anni da una vera e propria ecatombe di omicidi ( in Iran e all’estero ) , arresti , torture . Una censura sanguinaria , accompagnata dalla chiusura di centinaia di testate e dal varo del più sofisticato sistema di censura sul web che trova uguale solo nella Repubblica Popolare Cinese.

Ma Teheran vive un lungo, tragico, inverno che non sembra voler finire.

Una censura che continua , se adesso, le organizzazioni internazionali per i diritti umani sono mobilitati per salvare dalla pena di morte una ragazza di 19 anni . Elham Foroutan , collaboratrice della rivista Tamaddon Hormozgan è stata arrestata per aver paragonato ,in un articolo satirico , il regime al virus dell’Aids. Era già stata data per morta la settimana scorsa. E’ uscita dal carcere , ma dopo pesanti torture , la giornalista Roya Toluii , direttrice della rivista femminista Rasan . La donna ha dichiarato di aver accettato di leggere un’abiura davanti alle telecamere , quando è stata minacciata di far assistere i suoi figli alle torture che le venivano inflitte.

La scorsa settimana l’Unione Europea , anche per iniziativa della collega Lilli Gruber , ha nuovamente sollevato la questione dei diritti umani con il ministro degli Esteri iraniano, e per primo il caso di Akbar Ganji . La risposta è stata una dichiarazione del direttore del carcere di Evin : " Ganji vive in una suite ". Ma Ganji è ammalato di una grave forma di sma e non riceve cure. Indebolito da uno sciopero della fame che la scorsa estate lo ha ridotto a pesare cinquanta chili , viene sottoalimentato ed è chiuso in una cella di isolamento dove gli ormai vietato anche di scrivere. La moglie Massoumeh Shafie , che capeggia la mobilitazione per la liberazione del marito , dice di aver ricevuto un chiaro ultimatum : se Ganji non ritratterà le proprie posizioni, morirà nella sua cella.

Noi di Information Safety and Freedom abbiamo deciso che queste voci liberi dell’Iran non potevano restare mute. Che non potevamo attendere impassibili che il coraggioso collega Akbar fosse spento nel silenzio di una cella del carcere di Evin . La campagna che abbiamo proposto è stata raccolta da Giuseppe Giulietti ( che raccolto anche ottanta firme di parlamentari ) e articolo21 , dalla rivista Testimonianze, dal Premio Ilaria Alpi , dal Consiglio Regionale della Toscana e da molti altri . Ora , proprio in coincidenza della scadenza della condanna di Ganji , dobbiamo tornare ad alzare la voce. Lo facciamo anche con un atto concreto : la pubblicazione ( a fine mese ) di L’Ultima Primavera - la lotta per la libertà di informazione in Iran , dove il collega Ahmad Rafat ricostruisce i contorni dell’opposizione intellettuale di quel Paese , la feroce repressione cui è stata sottoposta . In quel libro parlano molti di quei giornalisti che sono stati messi a tacere nel loro Paese . Crediamo che sia il modo più concreto di rispondere alla censura , quello di ridare voce a coloro cui è stata negata. Ahmad , che figura ai primi posti nell’elenco dei giornalisti da eliminare stilato dalle squadre della morte che fiancheggiano il regime , ha messo in questa campagna tutto il suo coraggio, la sua competenza, la sua determinazione di uomo libero.

Speriamo che si riesca così a correggere la grave incompletezza della rappresentazione del mondo così come oggi ci è raccontato dai media e proposto dal dibattito politico. Akbar Ganji, come i suoi colleghi , è un musulmano credente e osservante , ma sta rischiando la propria vita per costruire la democrazia nel proprio Paese .

Ignorare la sua esperienza, come l’esistenza di un’opposizione democratica nel suo Paese e scegliere come unici interlocutori i rappresentanti di una deriva integralista e violenta, significa fare cattivo giornalismo , cattiva politica e precostituire le condizioni per uno scontro che non è nelle cose , ma solo nella cattiva coscienza di chi partecipa a questa corsa verso il disastro.

Significa anche, questa indifferenza, lasciare Ganji, i democratici iraniani ( ma anche libanesi , irakeni , siriani ecc.) soli e indifesi di fronte alla violenza di chi vuol mantenere loro e i loro popoli sotto il tallone di una legge del più forte che è proposta nel nome di dio.

Insieme a Giulietti e articolo 21 facciamo appello ai giornalisti, agli intellettuali , alle associazioni e alla politica italiani per una mobilitazione forte e ampia che chieda la liberazione di Akbar Ganji e tutto ciò che rappresenta. Perché sia davvero primavera a Teheran e perché le parole e le intelligenze tornino a prendere il posto delle armi e della violenza.

27/02/2006, ore 15:37:39
Data recensione: 27/02/2006
Testata Giornalistica: Articolo 21
Autore: Stefano Marcelli