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È morta a 85 anni Nada Giorgi, la giovane staffetta partigiana la cui storia ha ispirato il romanzo di Carlo Cassola

È morta a 85 anni Nada Giorgi, la giovane staffetta partigiana la cui storia ha ispirato il romanzo di Carlo Cassola

È morta la “ragazza di Bube”, quella vera, non il suo doppio. È morta in un letto d’ospedale a Ponte a Niccheri con i suoi 85 anni e un cappello pieno di ricordi. Nei fogli del romanzo di Carlo Cassola si chiamava Mara, nella realtà Nada Giorgi ed era nata a Pontassieve il 25 gennaio 1927. Ma Nada e Mara spesso di confondevano nell’immaginario collettivo perché a volte il confine tra realtà a finzione, fra vita e letteratura è una nebbia sottile. Il romanzo che valse a Cassola il premio Strega nel 1960 e una grande popolarità, seguì Nada come un’ombra. La proiezione di quella storia nella vita di tutti giorni, fra la gente con un nome e un cognome finì per essere ingombrante. “Non mi riconosco” diceva spesso. “Non ci riconosciamo” ripeteva insieme a Bube, il grande amore della sua vita, il partigiano spavaldo e ribelle, col fazzoletto rosso al collo, che fuori dalle pagine del romanzo si chiamava Renato Ciandri soprannominato “Baffo”. Nel romanzo Bube uccide un carabiniere, sono gli anni turbolenti e poveri del primissimo dopoguerra, anni che trasportano ancora una scia di rancori e di vendette. La sparatoria c’è stata davvero alla Madonna del Sasso, vicino a Pontassieve il 13 maggio del 1945 e davvero morirono un partigiano, un carabiniere e suo figlio.
Le indagini puntarono subito in direzione dei capi partigiani e Ciandri era uno di loro. “Così fuggi all’estero aiutato dal partito e da altri partigiani, venne catturato in Francia – racconta Massimo Biagioni, autore del libro pubblicato da Polistampa “Nada, la ragazza di Bube” – si trasferì in Italia dove doveva scontare una condanna a 19 anni per duplice omicidio”. Nada non lo abbandonerà mai, continuerà a stargli vicino: lettere, colloqui, fotografie. Nel 1951 lo sposa in carcere ad Alessandria. Una scelta che fece scandalo. Ma Nada, la staffetta partigiana sfollata in Valdisieve era questa, una donna granitica nelle sue convinzioni e coraggiosa. “Mi viene a mancare un pilastro” diceva ieri asciugandosi le lacrime il figlio Moreno.
Nada voleva uscire dalle pagine del romanzo di Cassola e da quella storia sbagliata, così un giorno decise di affidare la sua verità a un altro libro firmato pochi anni fa da Massimo Biagioni che raccolse una lunga e articolata testimonianza: “Era certa dell’innocenza di suo marito. Raccontava che lei c’era alla festa della Madonna del Sasso e c’era anche “Bube” ma era disarmato. Venne accusato soltanto perché era scappato all’estero”. Eppure a sentire Nada, Bube voleva andare a testimoniare dai carabinieri “non avendo niente da nascondere”. “Dal partito invece arrivò il suggerimento a espatriare”. Come un soldato, lui obbedisce, il resto viene tutto di conseguenza. “Io so i nomi di quelli che hanno sparato secondo mio padre, ma non li dirò mai perché questa è stata la sua volontà” spiega il figlio Moreno. Storia chiusa: “Chiedo rispetto per il pensiero di mio padre”.
Bube-Renato passò quattordici anni di carcere, “abbandonato da tutti”. Quando uscì aveva davanti un’altra Italia e lui era un altro uomo, uno che aveva soltanto voglia di chiudere i cassetti del suo passato, sigillarli, dimenticarli. Anno 1962. Fuori, sul piazzale, c’era una donna ad aspettarlo, una con gli stessi occhi di quella ragazzina che aveva conosciuto tanti anni prima nelle campagne della Valdisieve. Ha lavorato come operaia nelle fabbriche tessili, ha impagliato i fiaschi per arrivare a fine mese. Pane e coraggio, poche rose, molte spine. Finalmente dal 1962 Nada e Renato tornano insieme. Ma come arriva questa storia a Carlo Cassola? “È stata la stessa Nada a raccontarla il giorno in cui incontrò lo scrittore sul bus della Sita che collegava Firenze a Volterra” ricorda Monia Cini. Le parlò della sua storia d’amore, di lotte partigiane, di politica e passioni. Soltanto dopo la morte del marito (avvenuta nel 1981), Nada ricomincerà a combattere per consegnare un’altra verità alla storia su quel che successe alla Madonna del Sasso.
“Il romanzo di Cassola non mi è piaciuto, non sono nemmeno arrivata all’ultima pagina” diceva per cancellare le solite ombre che col passare del tempo diventavano sempre più coincidenti nell’equazione Mara=Nada. “Renato è stato condannato, ma era innocente” protestava ad ogni occasione. “E poi nel romanzo mio padre è un ubriacone comunista, invece il mio babbo è morto quando io avevo soltanto due anni”. Altri sassolini le facevano male nelle scarpe: “non ho mai avuto storie con Stefano o con altri, non siamo stati in una capanna a fare l’amore e non ho avuto fratelli. Quel romanzo ci soffoca”. Quel romanzo non è mai stato per lei un romanzo, ma un cappotto stretto, qualcosa che non vedeva l’ora di togliersi di dosso. La camera ardente è da ieri a San Francesco di Pelago. Domani alle 10 i funerali alla chiesa di San Francesco.
Data recensione: 24/05/2012
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Maria Cristina Carratù