chiudi

«Con una scrittura ‘a selva’ modernamente rivisitata – con l’intento di rendere aperte le forme chiuse – ho cercato di registrare e di restituire i momenti epici ed elegiaci, romantici e drammatici che ho vissuto nella selva domestica del mio (forse nostro) pagus. Un doppio viaggio, nella vita e nella poesia. L’opera rappresenta in qualche modo la sinopia de La neve di maggio».
Così l’autore stesso definisce in esergo la sua ultima opera, giunta a noi a distanza di dieci anni dalla raccolta La neve di maggio (Polistampa, 2001), dove sono riuniti tutti i testi principali apparsi tra il 1959 e il 1995 e che sintetizza tre importanti fasi nel percorso poetico e umano di Frnaco Manescalchi: dal “tema dell’inurbamento e della sua problematica individuale e storica” a quello della “resistenza dall’interno all’alienazione del sistema neo-industriale” fino alle “dissolvenze di un mondo che si rigenera e si motiva nell’azione poetica”. Tre fasi diverse seppure strettamente collegate, specchio di altrettante stagioni del nostro secondo Novecento.
Un lavoro, sottolinea Marco Marchi nell’ampia introduzione, caratterizzato da un’originale impronta integrativa nei confronti della silloge precedente e tuttavia contemporaneamente dotato di autonomia e motivazioni proprie. Se consideriamo che la poesia di Franco Manescalchi è frutto di un costante lavoro linguistico mai disgiunto dalla storia, è facile intuire quanto inevitabili e inscindibili siano i legami tra le due raccolte.
In Selva domestica – significativo, ossimorico titolo (da selva deriva selvatico, contrapposto a domestico) – confluiscono alcune opere già pubblicate in rivista e numerose altre inedite, alcune delle quali rimaste nei cassetti rispetto all’opera omnia La neve di maggio, in un periodo che va dal 1956 al 2006. Si può notare che La neve di maggio comprendeva poesie fino al 1959, a conferma della ideale continuità, ma sarebbe più corretto dire accoglienza tra i due testi, quasi l’autore intendesse offrire al lettore l’altra faccia della medaglia della sua scrittura.
La raccolta, dai toni più delicati e distesi della precedente, si presenta come una sorta di biografia in versi, immersa e radicata in ogni aspetto della vita quotidiana dove grandi e piccoli eventi procedono appaiati, ma anche nutrita dalle numerose presenze di autori della nostra letteratura, a cui si fa costantemente riferimento in esergo e nello spirito dei versi stessi in evidente omaggio ai Maestri del Novecento. Il soffio di queste grandi anime si accompagna naturalmente e liberamente alle presenze familiari evocate dal poeta e a struggenti, personali ricordi, a momenti ritagliati nell’intimità. Così spesso si sovrappongono armoniosamente due diverse visioni dell’immagine poetica:
La tua casa era un lampo visto dal treno./ Curva sull’Arno come l’albero di Giuda / che voleva proteggerla. Forse c’è ancora o / non è che una rovina. Tutta piena, / mi dicevi, di insetti, inabitabile (Eugenio Montale, da L’Arno Rovezzano, Satura).
Alta sulla pescaia come una nave in secca / la casa di mia madre rivolta verso oriente / fu granaio e deposito in minime derrate / […] è rifugio e traghetto nella notte toscana / al villaggio-viaggio da sempre sconosciuto. / Lì è vissuta mia madre negli anni del ricordo […] (F. Manescalchi, La casa-nave, Selva domestica).
L’opera è suddivisa in quattro sezioni: Fogli di guardia (epos), Selva domestica (ethos), Eros/Ioni (eros), Personae (logos) a cui si aggiungono, come conclusione, Brevi note di viaggio e Sarmenti (anagrammi). Già da questa partizione, così dettagliatamente definita ed accompagnata in ogni sua sezione da un sottotitolo, si può intravedere l’ampiezza di respiro e la direzione che intende prendere questo percorso poetico: «la necessaria presenza della storia che comporta la dimensione dell’epos; la partecipazione solidale al dolore del mondo che chiede di dare voce all’ethos; e, in subordine, al pathos; la libera distensione del canto dell’eros; la ricomposizione di questo trinomio nella sintesi del logos». Segrete forze che regolano la parte razionale e irrazionale dell’animo umano, «corde vibranti dell’intelligenza del sentire dove è anche possibile individuare il binocolo di giustizia e verità», sottolinea l’autore.
Un’intelligenza del sentire in perfetta sintonia con in grandi Maestri citati nell’opera e che, al contempo, mette in luce la sua naturale disposizione alla poesia. Non è banalità né retorica, come giustamente ricorda Marco Marchi nella prefazione, affermare che per Franco Maniscalchi la vita coincide con la poesia, ma necessaria premessa per capire pienamente la sua scrittura.
Un’attenzione particolare va rivolta alla “veste” di questa poesia, liberamente formalizzata anche in sonetti, ballate e forme chiuse ma tendenti sempre all’apertura, tanto congeniali all’autore e dove rime, assonanze, consonanze e giochi con le parole padroneggiano ovunque. Inseguendo una musica antica Franco Manescalchi, corteggiando e sfidando continuamente la sua amata lingua, dà vita a nuovi, personalissimi ritmi, svincolandosi da ogni costrizione alla quale l’odierna poesia tende a condurre chi l’abbraccia. Seppure fortemente datato sempre valido rimane un commento sulla sua poesia a firma di Emilio Isgrò: «Manescalchi predilige i ritmi aperti e variabili della ballata, per calare in essi tutta la sua esperienza del mondo» («Gazzettino veneto», 5 ottobre 1965).
Mettendo in campo con nonchalance la profonda conoscenza letteraria acquisita non solo a causa della passione per la poesia che da sempre lo anima, ma anche per il quotidiano impegno, oserei aggiungere artigianale, nella scrittura e nella critica, sempre aperta all’ascolto e al confronto con ogni voce poetica, l’autore riesce così a raggiungere il suo obiettivo di condivisione con l’altro, a porgergli la sua verità, affidando il suo dire all’imperitura luce dell’arte.
Come gelido un blocco di vulcano / sigillerà per sempre le mie carte / così la vita – un palpito lontano – / riposerà nel mistero dell’arte (da Sarmenti, pag. 271).
Data recensione: 21/03/2011
Testata Giornalistica: Erba d’Arno
Autore: Annalisa Macchia