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Un allievo del germanista Ferruccio Masini (1928-1988) ha raccontato che tratti particolari della persona erano la curiosità unita a un gusto raffinato per il paradosso

Un allievo del germanista Ferruccio Masini (1928-1988) ha raccontato che tratti particolari della persona erano la curiosità unita a un gusto raffinato per il paradosso, tale da portare la logica del ragionamento sull’abisso, unendo filosofia, estetica, letteratura a un’attività poliedrica – comprensva della pittura – eppure autoironica e sofferente al tempo stesso. Traduttore di Kafka, Benn, Nietzsche, del Maestro Ekhart, attento ai giovani, era molto attrattivo verso di loro, anche attraverso la sperimentazione teatrale, all’Antella, che è rievocata da Sergio Givone nella rivista il “Portolano”, diretta da Francesco Guerrieri ed edita da Polistampa, e presentata in Palazzo Medici Riccardi, a cura di “Sguardo e Sogno”, in un incontro in cui hanno preso parte, tra gli altri, Paola Lucarini, Mario Specchio e Stefano Lanuzza. Quattordici i contributi su Masini, di fatto tredici tenendo conto che uno si compone di inediti. La più parte indaga il rapporto tra Masini e autori tradotti, dunque la sua stessa produzione letteraria. Si rimane attratti da quello sbocco spirituale -  così connesso alla malattia – che sembra caratterizzare gli ultimi anni di Maisini e che si rivela, in particolare, nei testi poetici. Quelli, editi e inediti, proposti o riproposti dal Portolano, rivelano un Masini narratore con il linguaggio poetico che, per quanto ricondotto nella vulgata, alle emozioni, è piuttosto figlio della logica. Ed è un Masini che – anche per effetto degli studi sul nihilismo di matrice nicciana, demolitivo e vitalista – supera il senso e il dato delle macerie e dell’assedio, attraverso quella che Francesco Piga chiama la follia della speranza. Andrebbe indagato meglio il rapporto di Masini con la fede rivelata – qualcosa emerge nel racconto dell’addio a San Miniato al Monte, sotto le volte del Cristo pantocratore – ma si ha la sensazione che bene si prestano a lui le parole della Lettera agli Ebrei così come le conosciamo nella traduzione di Dante: “Fede è sustanza di cose sperate/e argomento de le non parventi”.
Vi è un altro testo, inedito, che illumina un senso di pace interiore ritrovata, da un’angolazione molto personale e tale da assumerlo a metafora. “Comincio a essere soddisfatto di questi acquerelli. Sono uno strano pittore. Probabilmente sono anche troppo vecchio e ho fatto troppe cose diverse per poter raggiungere la necessaria consistenza troppo difficile, inoltre, superare il muro della diffidenza. Non importa: continuerò a dipingere fino alla fine e probabilmente anche dopo”.
Data recensione: 04/12/2011
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Michele Brancale