chiudi

«Artiste di capriccioso e destrissimo ingegno» alla ribalta de “I mai visti”, una rassegna alle Vecchie Poste degli Uffizi di alto tenore espressivo, etico, identitario

«Artiste di capriccioso e destrissimo ingegno» alla ribalta de “I mai visti”, una rassegna alle Vecchie Poste degli Uffizi di alto tenore espressivo, etico, identitario
Sarà per la suggestione del soggetto – tante eleganti signore come affacciate alle finestre di una casa dalle pareti rosa – ma entrando nel salone delle Vecchie Poste, pertinente alla Galleria degli Uffizi, sembra di entrare in un boudoir. E come ogni boudoir, pieno di segreti. In apparenza sono eleganti dame, specie quelle in antico costume, che potremmo immaginare in posa davanti a un pittore per il ritratto d’occasione. Invece è tutta un’altra storia. Nei secoli in cui vissero la maggior parte di queste signore, la donna – come è ben noto – non era soggetto giuridicamente e socialmente autonomo, fosse artigiana o artista. Il suo posto era sempre dietro le quinte, fatto normale per l’organizzazione della società di allora. Non era pensabile che il ritrarsi di un’artista del secolo XVI o XVII potesse essere atto di esclusiva autoaffermazione: doveva legarsi giocoforza a un insieme di rapporti familiari, di bottega o di corte; oppure, dal Settecento in poi, di appartenenza ad Accademie come, ad esempio, la fiorentina Accademia delle Arti del Disegno. Nelle Vite del Vasari troviamo la biografia di un’unica donna artista, Properzia de’ Rossi (1490?-1530), bolognese, morta di peste, ancor giovane, nella sua città. La descrizione che ne fa Vasari è emblematica dell’epoca e della sua mentalità: «di capriccioso e destrissimo ingegno […] giovane virtuosa, non solamente nelle cose di casa, come l’altre, ma in infinite scienze che non che le donne, ma tutti gli uomini, n’ebbero invidia [...] si mise ad intagliar noccioli di pesche, che fu cosa singolare e meravigliosa il vederli. Non solamente per la sottilità del lavoro, ma per la sveltezza delle figurine […] e per la delicatissima maniera di compartirle. E certamente era un miracolo vedere in su un nocciolo così piccolo tutta la passione di Cristo, con una infinità di persone». È chiaro, dunque, che si ammirava il fenomeno, quasi uno scherzo di natura, come in botanica un fiore o un frutto da collezione. Ciò non toglie che l’artista non suscitasse malevolenza e contromosse molto concrete, co me accadde a Properzia durante un processo a lei intentato, da parte di Amico Aspertini. Più fortunate furono la Anguissola e la Tintoretta. La prima, figlia di un nobiluomo cremonese, valorizza ta nel - le sue doti dal padre stesso, ebbe le porte aperte nel gran mon do internazionale e poté evol versi nella sua arte come appare dai due ritratti esposti. La Tintoretta, figlia di tanto padre, dotatissima anche come musicista (espone infatti nel quadro spartito e spinetta) eseguì un autoritratto di grande qualità pittorica, acquistato dal Cardinal Leopoldo, «… quand’anco – come scrisse il Boschini – fosse che il padre li avesse dato qualche penelata […] sarebbe stato come si suol dire qui a Venezia, poner il zucchero sopra la torta». Figlia d’arte e musicista fu anche Arcangela Paladini, protetta da Maria Maddalena d’Austria, morta di parto a soli ventitre anni. Dovette avere qualità davvero eccezionali, sia professionalmente che umanamente, se la Granduchessa le fece fare un bellissimo monumento funebre sotto il porticato della Chiesa granducale di Santa Felicita, ancor oggi visibile. La scultura manifesta una fisionomia nobilmente malinconica, improntata ad eleganza e riservatezza. Anche nell’ autoritratto, il giro di perle e l’abito scuro, semplicissimo, mostrano una donna di sorprendente modernità. Gli autoritratti del secolo successivo testimoniano l’evidente mutamento dei tempi. Le artiste si presentano più sicure di sé, più indipendenti al seguito, si direbbe, della loro “apripista”: la coraggiosa Rosalba Carriera il cui nome, Rosalba, divenne sinonimo di pittrice tout-court, per cui si parlò, per indicare una brava pittrice, di una “Rosalba” fiorentina, bolognese ecc. Figlia di una sarta, fu donna che si fece da sé, specializzandosi nella tecnica del pastello con un gusto piacevolmente rococò, per cui divenne ricercata in tutta Europa. I ritratti si susseguono numerosi nel secolo dei lumi, testimoniando una maggiore scioltezza nel ritrarre le caratteristiche psicologiche delle autrici medesime, in eleganti abiti, vero prontuario della moda dell’epoca. Ormai anche le principesse si presentato in veste di artiste, senza timore, per questo, di degradarsi; anzi all’insegna di una cultura raffinata e originale come nel caso di Chiara Spinelli di Belmonte o, addirittura, di Maria Antonia Elettrice di Sassonia. Ci sono, inevitabilmente, anche ritratti di ignote autrici, forse di estrazione sociale meno elevata o di talento meno eccezionale. Un Ritratto di pittrice non altrimenti detto è stato, a proposito, identificato da Giovanna Giusti, ordinatrice sapiente di questa esposizione “al femminile”, come appartenente a Maria Hodfield Cosway. Siamo ormai in pieno grand tour e la Hodfield fu tramite importante tra artisti italiani e inglesi. Nata a Firenze da padre inglese, copista alle Gallerie fiorentine, sposò Richard Cosway, pittore di corte di Giorgio IV. Dividendosi fra l’Italia e l’Inghilterra fondò a Lodi, nel 1812, il Collegio delle Dame Inglesi, ancora esistente come Fondazione a lei intitolata. L’autoritratto mostra una donna dall’abbigliamento piuttosto insolito, dal tono internazionale e moderno. Con Angelica Kauffmann ed Elisabeth-Louise Vigeé-Le Brun siamo nell’alta società legata al grand tour. La Kauffmann venne a Firenze per perfezionarsi in pittura e divenne ben presto la ritrattista dei più famosi viaggiatori europei in Italia, Goethe compreso, nonché animatrice di un rinomato salotto. Legata alla corte francese e in particolare alla regina Maria Antonietta, la Le Brun si rifugiò a Roma dopo l’89. La sua fama è legata proprio a questo autoritratto divenuto emblematico per ogni ritratto di pittrice, ricco di fascino e di un esprit tipicamente francese. Acquistato da Ferdinando III di Toscana, circolò per tutto il XIX secolo e oltre. Ciò non tolse che il Pelli, allora direttore delle Gallerie fiorentine, si esprimesse così: «dipinto alla Van Dick pare uscito dal pennello di un uomo di sommo merito, più che da quello di una femmina». Nonostante l’opinione del Pelli gli autoritratti di queste dame segnano non solo il percorso dell’arte attraverso i decenni, ma sono anche testimoni degli eventi socio-politici attraverso la moda e, soprattutto, le loro stesse vicende biografiche. Siamo al Risorgimento nazionale ed eroine come Luisa Grace Bartolini o Adèle d’Affry, duchessa di Castiglione (detta in arte Marcello) sono a rappresentarne gli eventi. Il salotto di Luisa Grace, nata a Bristol nel 1818 e morta a Pistoia nel 1865, era frequentato dai patrioti del ’48 e, più tardi, da Giosue Carducci che ne consacrò il genio poetico. Il ritratto, fra purismo e realismo ottocentesco, con citazioni della pittura rinascimentale (come il cagnolino, di memoria,forse, carpaccesca), denota grande sicurezza stilistica. Nella sezione del Novecento, tralasciando per motivi di spazio, non certo per la qualità delle opere, le espressioni figurative più tradizionali, si è colpiti dall’autoritratto di Kathe Schmidt Kollwitz, artista e donna rappresentativa del travaglio del secolo ventesimo in Germania. Impegnata nel sociale, partecipò al Bauhaus e fu punita dal nazismo che le tolse ogni incarico e onorificenza. Il forte segno xilografico sembra incidere le ferite di un personale e collettivo dolore. Al lascito della collezione Rezzonico dobbiamo anche l’autoritratto di Carol Rama, del ’49: una fitta trama di segni, sintesi del Novecento potremmo dire, dall’espressionismo al cubismo, denota una feroce volontà di indagine sul proprio corpo e vissuto. Hélène de Beauvoir, sorella di Simone e legata all’ambiente intellettuale della famosa sorella, ma anche a numerose proprie esperienze internazionali, ha donato personalmente agli Uffizi, nel 1982, il proprio autoritratto che richiama, oltre all’evidente post-cubismo, certe geometrie alla Delaunay, coloratissime e di grande eppur controllata libertà formale. Ancora dalla collezione Rezzonico è pervenuto agli Uffizi lo straordinario ritratto di Merret Oppenheim, donna e artista per tanti versi simbolo del secondo dopoguerra, alla ricerca di indipendenza e identità femminile. Legata al surrealismo e modella di Man Ray, in soggetti anche erotici, è interessata alla manipolazione artistica del proprio corpo. Fra le nuove acquisizioni, oltre a nomi ormai accreditati come Carla Accardi o Niki de Saint Phalle, giovani artiste come Vanessa Beecroft, esprimono l’assurdità del nostro mondo ossessionato da canoni estetici astratti e dal culto dell’immagine per l’immagine, anche di fronte a problemi globali di tragica portata. Ma è soprattutto attraverso il mondo della fotografia, più o meno rielaborata, e della video-art che si entra nella contemporaneità. Ketty La Rocca, con una radiografia e sovrapposizione fotografica, con scritte ossessive e autolesive sul plexiglass, ci immette nell’universo disincantato e inquieto di oggi. È una “craniologia” che riflette la consapevolezza della prematura morte dell’artista, mancata a trentotto anni, che sembra voler affermare, nonostante tutto, la vita, col gesto perentorio della mano. Infine, la fotografia della spagnola Esther Ferrer sintetizza il leitmotiv del nostro tempo: money, money, traboccante dalla pancia dell’io. Tutto sommato, quindi, sembra aver ragione Marie-Louise De Geer Ekman, artista polivalente, cineasta, scenografa: basta aver naso per comprendere e far comprendere molte cose.
Data recensione: 01/05/2010
Testata Giornalistica: Caffè Michelangiolo
Autore: Anna Maria Manetti Piccinini