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Due mattinate: 9 ottobre 2009 e 12 marzo 2010, Firenze, piazza della Santissima Annunziata. Due scioperi (CGIL, FIOM). Lucio Trizzino, «fotografo di

Due mattinate: 9 ottobre 2009 e 12 marzo 2010, Firenze, piazza della Santissima Annunziata. Due scioperi (CGIL, FIOM). Lucio Trizzino, «fotografo di origini siciliane, architetto e progettista di restauri di fama internazionale, […] già autore dell’album Refoli di fotografia futurista (2010) che ha reso omaggio ai principi di Filippo Tommaso Marinetti, e che gli ha valso la partecipazione all’ultima Biennale di Venezia» (G. Del Lungo), va ben oltre. Nel suo Sciopero (edizioni Polistampa, Firenze 2011), reportage in quarantotto scatti, mette insieme, inscena – anzi, svela – il “teatro del mondo in una piazza”, come recita il bel titolo della puntuale prefazione di Giuseppe Marcenaro, scrittore e critico di fotografia (autore, fra l’altro, di Fotografi liguri dell’Ottocento, 1980; Alfredo Noack, inventore della Riviera, 1989; Fotografia come letteratura, 2004).
Con «sagacia» e «acuta intelligenza» Trizzino, scrive Marcenaro, «esplora le pulsioni, i ritegni e gli esibiti narcisismi di quanti presero parte a uno di quegli happening oggi definiti “eventi”, una “performance” i cui fini e i risultati sono sempre altri, diversi da quanto qualcuno s’era prefisso e immaginato d’ottenere. […] Due scioperi come repliche di uno spettacolo
la cui prima andò in scena tanti anni avanti e poi, tournée dopo tournée, usuratosi a furia d’essere rappresentato, senza convinzione. Una stanca recita per un pubblico invisibile». Qual è il motivo di un così netto giudizio? La risposta è che, secondo Marcenaro, si tratta di «una rappresentazione corale ormai senza regista e senza mattatori. Manca il demiurgo
». Infatti, gli “attori” «sono tutti […] comparse. Una indistinta varietà umana che muta ruoli […] una logora compagnia di giro. […] Ognuno […] vuole ad ogni costo fingere d’essere primo attore». Inoltre, qualche «“vecchio attore” […] guarda commiserante la caduta di antichi miti. […] Alcuni di questi ostinati romantici […] Illusi monumenti di memoria […] sperano di esser venerati come icona. Nessuno ha più voglia di ascoltare». Ma ecco il miracolo. Di tutti questi “strani”, “distratti”, “inconsapevoli” «zombie contemporanei […] simbolo della trascuratezza di una moltitudine che ha perduto la capacità di mettersi in sintonia con la bellezza», Trizzino riesce a cogliere l’inesprimibile: «ruba l’anima a scioperi ormai senz’anima». E lo fa riuscendo a «coniugare “lo specifico”, […] “il rappresentato”, con il subliminale quid che trasumana un’immagine in un racconto. La fotografia come forma letteraria». Narrare (con) le immagini, avrebbero forse detto Anna
Banti e Roberto Longhi. Attraverso una “ironia” che «non irride soltanto» ma spesso «è commozione», ecco allora «una poderosa saga cum figuris della società del nostro tempo. Epica come dramma», continua Marcenaro. Unico volto noto, il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi (p. 22); il più esotico, un fachiro (Sciopero 14, p. 31). Confitti come chiodi di un organetto di Barberia, stanno gli scioperanti in Attesa 01 (p. 10)… Attesa di cosa?… Aspettando Godot. In Sciopero 03 (p. 18), le aste delle bandiere incrociate in primo piano richiamano le canne di Tiziano Vecellio, la sua Incoronazione di spine (1542–1544 circa). Uscito da una tela di Guttuso (Donne di Zolfatari, 1953) pare il soggetto di Sciopero 05 (p. 21). E cosa ci fa, la Madre migrante (1936) di Dorothea Lange, con berretto e impermeabile (Sciopero 20, p. 38)? E la poetessa Elizabeth Bishop (Sciopero 21, p. 39), coi suoi occhi malinconici e le labbra dipinte? Il David (1473-75) del Verrocchio s’è fatto punk (Sciopero 24, p. 42) e ha in testa un “nido d’aprile” (F. Mannoia, I venti del cuore, 1992); adolescente Flora botticelliana (Primavera, 1478-1485 circa), con eye-liner e rimmel, pilucca uno svogliato spuntino (Sciopero 28, p. 46); modello preraffaellita di Rossetti (Sciopero 27, p. 45) porta rasta e poncho. Le Grazie (Sciopero 30, p. 48) hanno ormai superato gli anta, mentre allegre comari di Windsor (Fashion 02, p. 51) continuano a confabulare – e se non fosse per zaino, ombrello e due gambe incrociate a stenditoio o asse da stiro, diremmo che si tratta (senza offesa) delle adorabili sorelle disneyane, Adelina e Guendalina Blablà. Si è mai visto Babbo Natale (Sciopero 33, p. 54) sorpreso dei propri regali?… Un pittore impressionista (Sciopero 34, p. 55), con barba e basco, trasmette fitte al cuore che si incidono in solchi sulla fronte. Un elfo-streghetta (Ecco fatto, p. 57), venuta fuori dal Signore degli anelli o un manga, folgora con raggi laser dagli occhi (azzurrissimi?) sussurrando divertita le famose parole: hocus-pocus… Sospeso, sdolcinato palloncino cardiaco (Siamo noi, p. 52) reca impresse parole chiave di volta: «Ci siamo noi». Nel titolo della foto, però, il deittico è scomparso. Solo un caso?… Scrive ancora Marcenaro: «Nello stanco marasma l’individualità espone i segni di una personalità che a qualunque costo vuol emergere, anche a costo di mascherarsi da scioperante. Recito il mio copione pur di lasciare al mondo un segno perché anch’io sia stato». Esserci. Ma dove?… In un nonluogo, direbbe Marc Augé; in nessun dove, Pierluigi Cappello. In effetti, sin dal frontespizio, Trizzino punta all’antitesi, l’ossimoro: tre uomini (replicanti esclamativi!) mostrano uno striscione, dove l’inquadratura ferma – uno sull’altro – gli avverbi «SEMPRE | MAI!!!». Unica tangibile verità, le occhiaie-borse (anzi, valigie) di notti insonni della nana cresciuta del Mantegna (La camera degli sposi, 1465-1474), sbucata da un angolo-margine sinistro (Sciopero 25, p. 43). Sola speranza, un bambino a cavalcioni che sembra ripetere una struggente Mia Martini: «…le canzoni alla radio, le partite allo stadio, sulle spalle di mio padre…» (La nevicata del ’56, 1990). È la bella foto Colonne (p. 17): realtà parallele – una, umana; l’altra, corinzia. In lontananza, sotto gli archi, un Antonello da Messina in maglietta (San Girolamo nello studio, 1418); in alto, sul fastigio del porticato del Caccini, una scritta un po’ sbiadita: «G E N I T R I C I». Passato, presente, futuro.
Data recensione: 01/09/2010
Testata Giornalistica: Caffè Michelangelo
Autore: Davide Torrecchia