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Costruito nel ’300 sul ponte, poi demolito e rinato sul Lungarno, ha resistito alle alluvioni. Un libro lo racconta.

La Madonna delle Grazie: storia di un oratorio. E della devozione popolare. Costruito nel ’300 sul ponte, poi demolito e rinato sul Lungarno, ha resistito alle alluvioni. Un libro lo racconta.

L’Oratorio di Santa Maria delle Grazie se ne sta lì, piccola oasi di ristoro fra Ponte Vecchio e Ponte alle Grazie. Appartato e discreto cela una vicenda che affonda le radici nel medioevo fiorentino. Proprio oggi, giorno in cui si festeggia Santa Maria delle Grazie, verrà presentata una pubblicazione che, attraverso una mole di documenti inediti, ne ricostruisce la storia (alle 18.30, nel salone della parrocchia di San Remigio). Santa Maria delle Grazie, un oratorio fiorentino dal ’300 ad oggi, doveva essere un opuscolo, ne è venuto fuori un libro da 170 pagine (Polistampa, testi di Lucia Bertani, Paola Massalin, Gianpaolo Trotta, Eugenio Vallacchi). Ce lo racconta Beatrice Pucci che, insieme a Marisa Aterini, è dal 1993 responsabile dell’Oratorio su nomina del Vescovo: «I documenti provengono dall’archivio dell’Oratorio, dall’Archivio di Stato, da quello del Comune di Firenze e, a Biella, dall’Archivio del centro studi generazioni e luoghi». Una storia che svela memorie forse a rischio dimenticanza per questo «piccolo santuario mariano» come lo definisce l’arcivescovo Betori (che oggi alle 17.30 presiederà alla Santa Messa dell’Oratorio) nella prefazione dal volume. Chi varca la soglia del Lungarno Diaz, al numero 8, non può non notare il contrasto fra i policromi marmi ottocenteschi e l’affresco di scuola giottesca raffigurante la Madonna con il Bambino e Angeli. «Dagli inizi del ’300, sul Ponte a Rubaconte, c’era un tabernacolo che custodiva l’affresco che ora è in chiesa», nota la Pucci. Un’immagine devozionale già allora cara ai fedeli, che lega il suo destino a una delle famiglie fra le più importanti in città, gli Alberti. Sono loro che nel 1371 ottengono il patronato sul tabernacolo e lo trasformano in cappella. Sulla prima pigna del ponte, che allora prendeva il nome dal podestà di Firenze che lo aveva fatto edificare nel 1237, doveva verosimilmente sorgere all’angolo col Lungarno alle Grazie, dove attualmente c’è un piccolo slargo adibito a parcheggio. La natura stessa del ponte, il primo ad essere eretto in pietra, svolge un ruolo fondamentale, capace di resistere alla rovinosa piena del 1333. Così, mentre intorno si andava costituendo il quartiere di Santa Croce, sopra l’incrocio degli archi nascevano in rapida successione tutta una serie di cappelle votive, oratori e romitori. Negli anni Settanta Apollonia del Cennino si fece murare in una casetta sul settimo pilastro, seguita da altre devote votate alla pura contemplazione di Dio. Ecco “le murate”, che in un secondo tempo si spostarono nel convento di via Ghibellina. Dai documenti dell’archivio dell’Oratorio, emerge come la cappella fosse sempre stata contraddistinta da grande vita devozionale. Soggetta, per ovvi motivi, a tutte le alluvioni. «Erano sempre a smurare e rifare per via delle piene – ci dice la Pucci – Tutte le grandi donazioni che abbiamo trovato documentate sono state vendute per mantenere la cappella». Il ponte, come racconta Paola Massalin nel suo saggio «veniva sempre più investito di un valore sacrale proprio in rapporto al suo fiume».
Nel 1552 il rettore della cappella Giovan Francesca Nuti chiede al granduca Cosimo I di edificare vicino alla chiesa un’abitazione dove viverci. Tre anni dopo ci fu una delle più terribili alluvioni che la cronaca ricordi, che sommerse completamente la cappella. Il cui culto, però, cresceva, non solo tra il popolo, ma anche tra nobili e regnanti, come testimonia il caso di Pedro Álvarez da Toledo, viceré di Napoli, che nel 1552 chiede grazia alla Santa Nunziata e alla Vergine delle Grazie. Ma, con l’unità d’Italia, arriva il terremoto. L’ultimo degli Alberti, Leon Battista, non avendo eredi, volle adottare il figlio del cavaliere Mario Mori Ubaldini, che però non gli sopravvisse. L’eredità, il titolo e lo stemma passarono al padre Mario e ai fratelli Arturo e Guglielmo, che giocheranno un ruolo fondamentale nel futuro di Santa Maria delle Grazie. Nel 1870 il Comune decise di allargare il ponte, già divenuto alle grazie, come il continuo Lungarno, proprio per la presenza della cappella. Ma lì doveva passare il tram (quasi una nemesi, pensando all’oggi) e bisognava radere al suolo tutte le casette, Oratorio compreso. Iniziò così un tiramolla fra l’amministrazione e Mario Mori Ubaldini degli Alberti, che voleva preservare quell’immagine tanto cara ai fedeli.
Alla fine si espose lui in prima persona, individuando alcuni locali del proprio palazzo sul lungarno. La nuova Cappella fu inaugurata con otto giorni di festeggiamenti nel maggio del 1874. L’ultimo trauma, l’alluvione del 1966. La famiglia Mori Ubaldini degli Alberti aveva già lasciato Firenze, l’unica proprietà era proprio l’Oratorio, che nel 1971 è stato donato alla curia per essere recuperato al culto.
Oggi sarà presente anche l’ultimo discendente di quella benemerita famiglia, «rintracciato su internet», specifica la Pucci, colui che ha messo a disposizione tutto lo storico, ricchissimo archivio dei suoi antenati.
Data recensione: 29/05/2011
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Valeria Ronzani